Se c’è un materiale che nello spazio sembra non mancare, è il diamante. Preziosissimo sulla Terra, da qualche anno a questa parte dell’elegante reticolo cristallino di atomi di carbonio si congettura la presenza nei luoghi più impensabili. Risale al 2010, per esempio, l’ipotesi che interi oceani di diamante possano bagnare la superficie di Urano e Nettuno. L’anno successivo uno studio (al quale hanno preso parte anche ricercatori dell’INAF) rivela l’esistenza, a 4000 mila anni luce da noi, addirittura d’un intero pianeta fatto di diamante. O di grafite, val la pena sottolineare: perché se anche agli occhi degli scienziati un Koh-i-noor e una Faber-Castell pari sono, vallo poi a spiegare che una mina di matita è per sempre…
Tornando invece all’interno del Sistema solare, è di questa settimana la notizia che, su Giove e Saturno, i diamanti potrebbero addirittura piovere. L’allerta meteo, tutta da verificare, è stata presentata nei giorni scorsi a Denver, nel corso del convegno dell’American Astronomical Society’s Division for Planetary Sciences, da Mona Delitsky del California Specialty Engineering e dal suo collega Kevin Baines della University of Wisconsin. Ed è basata su una serie d’assunti ripercorsi, con occhio critico, in un articolo di Maggie McKnee pubblicato sulle pagine di Nature.
Ma quale sarebbe la ricetta per bersagliare di diamanti il pianeta degli anelli o il suo grosso vicino di orbita? Anzitutto occorrono dense nubi di metano, dicono Delitsky e Baines, e nell’alta atmosfera dei due giganti la molecola non manca. Poi occorrono dei fulmini, in grado di spezzare i legami fra idrogeno e carbonio liberando così gli atomi di quest’ultimo. Atomi che andrebbero infine a saldarsi l’un l’altro a formare particelle sempre più grandi: prima fuliggine poi – precipitando attraverso i densi strati dell’atmosfera di Giove e Saturno, subendo così l’effetto di temperature e pressioni estreme – irresistibili gocce di diamante liquido. Di quanta roba stiamo parlando, vi chiedete? Solo su Saturno, suppergiù 10 milioni di tonnellate di diamante, dice Baines, da frammenti inferiori al millimetro a sampietrini da 10 centimetri.
Troppo bello per essere vero? Non siete i soli a sospettarlo. Fra le opinioni critiche riportate da McKnee, l’obiezione principale fa appello alla termodinamica: ci sarebbe troppo poco metano (fra lo 0.2% e lo 0.5%), e di conseguenza troppo poco carbonio, rispetto all’idrogeno, nell’atmosfera dei due pianeti, per consentire la formazione dei diamanti. Obiezione che non ha impedito a Baines e Delitsky di sognare robot in grado di raccogliere diamanti nell’atmosfera di Saturno. Questa volta, però, non al convegno di scienze planetarie bensì in un racconto-saggio di fantascienza ambientato nel 2469.