La formazione e la crescita dei buchi neri al centro delle galassie è uno dei più grandi misteri attualmente studiati dagli astronomi di tutto il mondo. È noto ormai che i buchi neri sono oggetti massicci nell’universo con una forza gravitazionale talmente potente che neanche la luce riesce ad uscire per arrivare a noi (per questo sono neri). Gli esemplari più “piccoli” si formano al momento del collasso di una stella (per questo vengono spesso definiti “di massa stellare”). I buchi neri più massicci, invece, contengono fino a un miliardo di volta la massa del nostro Sole. Nel corso di miliardi di anni, i buchi neri di dimensioni più ridotte possono arrivare a dimensioni considerevoli, agglomerando stelle, materiale galattico e altri buchi neri limitrofi.
La domanda che ancora si pongono gli esperti è quando e in quanto tempo si siano formati i buchi neri nell’universo primordiale. Secondo gli esperti i buchi neri più massicci si sarebbero formati meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Qualche prima risposta viene da un recente studio del California Institute of Technology (Caltech). Un gruppo di ricercatori guidati da Christian Reisswig della NASA ha scoperto che alcuni modelli di crescita dei buchi neri contemplano la presenza di quello che viene chiamato “seme”, che risulta proprio dalla morte delle prime stelle apparse nell’universo e aumenta di massa assorbendo materiale espulso durante l’ultima fase della stella, gas e polvere (processo noto come “accrescimento”).
«In questi modelli non era previsto abbastanza tempo affinché i buchi neri potessero raggiungere grandi dimensioni, poco dopo la nascita dell’universo”, ha detto il ricercatore primo firmatario dello studio pubblicato su Physical Review Letters lo scorso ottobre. “Una così repentina crescita sembra possibile solo se questo seme fosse già abbastanza grande”.
Il team di ricerca si è concentrato su un modello che prende in considerazione stelle supermassicce, le quali si pensa siano esistite solo per un breve periodo di tempo nelle prime fasi dell’universo. A differenza delle normali stelle, queste più grandi sono per lo più stabilizzate contro la forza di gravità grazie alla loro stessa radiazione di fotoni (il flusso di fotoni che viene generato a causa delle temperature molto elevate all’interno dell’oggetto). Le stelle supermassicce collassano dopo qualche milione di anni, a causa della perdita di questi fotoni e della riduzione delle dimensioni. Si pensa che dopo il collasso rimanga un oggetto dalla forma sferica. Proprio la rotazione dell’oggetto può causare la perdita di qualche frammento, che andrebbe a orbitare intorno al frammento della stella morta, aumentando man mano di temperatura. A temperature così alte si innescherebbero, secondo gli studiosi, delle reazioni tra elettroni e positroni creando delle coppie, che creerebbero due piccoli buchi neri. È proprio in questo caso che l’interazione fra i due porterebbe alla nascita di un buco nero di più grandi dimensioni.
La conclusione del team di ricerca è, quindi, che da un singolo collasso di una stella si formerebbero due piccoli buchi neri, invece che uno solo. Per provare la loro teoria gli esperti hanno usati simulazioni al computer e osservazioni da terra con l’Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) del Caltech, alla ricerca della radiazione gravitazionale.
Per saperne di più:
- Leggi lo studio: “Formation and Coalescence of Cosmological Supermassive-Black-Hole Binaries in Supermassive-Star Collapse“, di C. Reisswig, C. D. Ott, E. Abdikamalov, R. Haas, P. Moesta ed E. Schnetter