Le vie della ricerca scientifica seguono spesso cammini difficili, a volte imprevedibili. Alcune storie però hanno un tocco davvero surreale. Negli anni Sessanta la NASA aveva progettato una serie di esperimenti per studiare il suolo lunare. Le rilevazioni erano state poi condotte durante alcune missioni Apollo, ma di lì a qualche anno i dati erano andati persi. Oggi, quarant’anni più tardi, il fisico che aveva ideato quegli esperimenti, ormai ottantenne, ha ritrovato una copia dei dati. Li ha analizzati, e i risultati che ne ha ricavato potrebbero aiutare a far luce su uno dei misteri che ancora avvolgono la Luna, una questione apparentemente piuttosto banale: come si accumula la polvere sul nostro satellite?
Sulla Luna la polvere è estremamente fine e molto tagliente: in assenza di atmosfera, e quindi di venti e piogge, i frammenti non vengono erosi e mantengono la loro forma acuminata e ruvida. La polvere lunare ha creato diversi problemi di surriscaldamento agli strumenti scientifici delle missioni Apollo. Harrison Schmitt, geologo e astronauta di Apollo 17, analizzando eventuali ostacoli e criticità di una nuova e più lunga missione umana sulla Luna, ha scritto nel suo libro “Return to the Moon“: «La natura invasiva della polvere lunare solleva problemi ingegneristici e di salute per gli astronauti, più delle radiazioni».
Quarant’anni fa, dopo il primo allunaggio, la NASA lanciò una serie di esperimenti per studiare il suolo lunare. Uno di questi riguardava proprio la velocità con cui si accumula la polvere. I rivelatori di polvere lunare (Lunar Dust Detector) viaggiarono con le missioni Apollo 12, 14 e 15, prima che nel settembre 1977 la NASA tagliò le ricerche per problemi di bilancio. E degli esperimenti del Lunar Dust Detector non si seppe più nulla perché, nonostante nel frattempo i rivelatori avessero funzionato correttamente, i dati raccolti erano andati persi: dei Lunar Dust Detector non c’era traccia negli archivi NASA.
Solo nel 2006, Brian O’Brien, il fisico che aveva sviluppato l’esperimento durante le missioni Apollo negli anni Sessanta, ha comunicato alla NASA di avere una copia di backup dei dati che si credevano smarriti per sempre. Il professor O’Brien ha quindi deciso di riprendere in mano quei dati e di analizzarli. Oggi, a più di 40 anni di distanza dalla loro ideazione, abbiamo i primi risultati di quegli esperimenti.
Secondo quanto trovato da O’Brien e dal suo team, la polvere lunare si accumula in maniera incredibilmente lenta se paragonata a qualsiasi standard terrestre. Parliamo di uno strato di circa un millimetro di spessore ogni 1000 anni. Sembra poco, eppure è una velocità tale da rappresentare una seria minaccia per le celle solari che, installate sulla Luna, dovrebbero fornire energia alle future esplorazioni.
Al di là della sua pericolosità e delle strategie con cui gestirla, il mistero più grande attorno alla polvere lunare rimane però proprio quello della sua formazione, del suo accumulo e della sua dinamica.
La polvere lunare si dovrebbe infatti formare principalmente a partire dall’impatto di asteroidi e di altri corpi celesti che schiantandosi al suolo polverizzano rocce e detriti contenenti ferro e silicio. Data la mancanza di atmosfera e quindi di venti che la alzano e la scuotono, la polvere dovrebbe rimanere sostanzialmente immobile, e a questi detriti dovrebbe aggiungersi solamente il pulviscolo cosmico raccolto dalla superficie del nostro satellite. Ma la nuova ricerca mostra una velocità di accumulazione della polvere circa 10 volte superiore rispetto alle precedenti stime basate sui modelli appena descritti. Meteoriti e polvere cosmica, dice O’Brien, “non bastano per tener conto di quello che abbiamo misurato”.
Questa discrepanza si potrebbe spiegare, secondo O’Brien, con l’esistenza di un’ “atmosfera di polvere” sulla Luna, idea ormai popolare tra gli scienziati. Per ogni giorno lunare, la radiazione solare potrebbe infatti essere forte abbastanza da riuscire a strappare qualche elettrone dagli atomi delle particelle di polvere, costituendo così una leggera carica positiva. Sulla parte non illuminata della Luna, invece, gli elettroni provenienti dal vento solare, potrebbero colpire le particelle di polvere conferendo loro una piccola carica negativa. Al confine tra le regioni illuminate e quelle coperte dall’ombra, le forze elettriche potrebbero così far lievitare questa polvere carica, sollevando i grani nel cielo lunare.
“Qualcosa di simile è stato visto dagli astronauti delle missioni Apollo in orbita intorno alla Luna che guardando fuori hanno osservato nubi incandescenti all’orizzonte”, racconta Monique Hollick, della University of Western Australia, anche lei parte del team di ricerca.
Dopo il ritrovamento dei dati delle missioni Apollo, nuove rilevazioni dovrebbero essere disponibili a breve. Nel mese di settembre la NASA ha infatti lanciato una piccola sonda, la Lunar and Dust Environment Explorer (LADEE) proprio per analizzare la polvere e le molecole che circondano l’atmosfera della Luna.
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