Cinque secoli fa rivaleggiò con Venere, oggi continua a sfidare la morte. Non è un racconto mitologico: è la storia della supernova Tycho, che dopo la sua esplosione è ancora più luminosa che mai. Per capire quanto, bisogna prendere la velocità del suono e moltiplicarla per 1.000, ottenendo così la forza dell’onda d’urto che sta ancora colpendo i resti di Tycho come reazione inversa all’esplosione. In questa reazione vengono emessi continui raggi X, che rendono lo spettro della supernova luminoso e osservabile.
Sono i risultati di una ricerca condotta presso lo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA), che ha scoperto l’origine della brillantezza di Tycho: un’onda d’urto inversa diretta al centro dell’esplosione a Mach 1000, una velocità corrispondente a circa 340.000 metri al secondo.
“Non saremmo stati in grado di studiare i resti di una supernova così antica senza un’esplosione opposta che li illuminasse” ha detto Hiroya Yamaguchi, responsabile della ricerca che apparirà nel prossimo numero di The Astrophysical Journal.
Tycho fu osservata per la prima volta da Tycho Brahe, l’astronomo danese da cui prese il nome, nel 1572. L’apparizione improvvisa nel cielo di questa “nuova stella” gettò scompiglio nella concezione astronomica del tempo, che considerava l’Universo costante e soprattutto immutabile. Per tutto il tempo in cui fu visibile, circa un anno, la supernova era così luminosa da competere con Venere. Poi sparì così come era comparsa.
Oggi gli astronomi sanno che la stella studiata da Brahe era una supernova di tipo Ia, originata dall’esplosione di una nana bianca. Un’esplosione potentissima, che fece schizzare nello spazio elementi come ferro e silicio alla velocità di 5.000 chilometri al secondo.
Quando esplodono in supernove, tutte le stelle brillano ancora per diverse settimane o mesi prima di affievolirsi. Eppure il materiale stellare derivante dall’esplosione continua a emettere luce per centinaia di anni, formando quelli che sono i pittoreschi resti di una supernova. Nel caso di Tycho, l’esplosione ha risucchiato anche il materiale gassoso degli strati più esterni di un’altra stella, con caratteristiche simili al Sole.
Circa due anni fa le osservazione fatte con Chandra, il telescopio orbitale della NASA, hanno dimostrato la presenza nei resti di Tycho di materiale che emetteva intense radiazioni X. A originarlo sarebbe stata proprio l’onda d’urto provocata dall’esplosione.
Ora lo studio del CfA, realizzato utilizzando i dati del satellite giapponese Suzaku, conferma l’ipotesi e ci fornisce l’ordine di grandezza del fenomeno. Se la spinta dell’onda d’urto verso l’interno è di 1.000 Mach, quella verso l’esterno è di circa 300 Mach: questo doppio flusso è l’equivalente cosmico di una sorta di “boom sonico”. E dopo lo scoppio, resta tutto illuminato: “è come la scia della luce dei freni che si accende nel traffico dopo un tamponamento su una strada trafficata”, dice il co-autore della ricerca Randall Smith.