Anche se dalla Terra il cielo ci sembra terso e limpido, guardando un po’ più lontano, magari con qualche telescopio potente, si vedrebbero una marea di “relitti” spaziali, satelliti in uso e altri , la maggior parte, ormai inattivi da anni, che aspettano solo che qualcuno li raccolga e li “ricicli”.
La cosiddetta spazzatura spaziale è una preoccupazione costante per la NASA, l’Agenzia Spaziale Europea e molte altre agenzie. I satelliti fuori uso nello spazio sono sempre di più e le agenzie stanno cercando nuove soluzioni per mandarli su altre orbite o per riportare a terra pezzi ancora in buono stato. Questo per conservare liberi gli slot orbitali per nuove missioni e, soprattutto, per ridurre il rischio di collisioni e danni alle strumentazioni. I detriti, infatti, minacciano le comunicazioni terrestri, la ricerca scientifica e la sicurezza della Stazione Spaziale Internazionale.
Da anni ormai vengono lanciati in orbita aspirapolveri spaziali, come Alice-2, il cervello del primo dispositivo in grado di ripulire lo spazio da satelliti artificiali inattivi, lanciato pochi giorni fa dal cosmodromo di Yasni in Russia e realizzato da dei giovani talenti italiani della D-Orbit. Si tratta di un dispositivo, dotato di un motore di spinta, in grado di far rientrare il satellite all’interno dell’atmosfera terrestre una volta che la sua operatività sia cessata per farlo poi cadere in zone disabitate del pianeta, così da eliminare ogni rischio di danni. Già nel 2012 era stata lanciata un’altra missione simile, CleanSpace, un “netturbino” spaziale progettato dal Politecnico federale di Losanna.
Recentemente, invece, gli ingegneri e gli esperti stanno pensando di riutilizzare i satelliti non più attivi ma ancora in buone condizioni per altre missioni. Sono circa 700 i satelliti attivi attualmente in orbita attorno alla Terra, e la collisione di uno di essi con un detrito spaziale è un probabilità da non trascurare. L’ESA sta pensando di riutilizzare il carburante dei missili; le leghe metalliche potrebbero essere macinate per essere poi riutilizzate nella stampa 3-D; i sistemi di supporto vitale potrebbero usare materiali biodegradabili. Proprio perché le missioni nello spazio hanno costi esorbitanti, sarebbe giusto stringere un po’ la cintura e risparmiare dove si può, utilizzando ciò che già è stato progettato e costruito.
La campagna si chiama “Sustainable Materials Concepts” e l’ESA sta cercando esperti per studiare nuovi metodi per spiegare cos’è la sostenibilità nello spazio e perché è importante garantire a tutti noi un accesso pulito e sicuro allo Spazio. Si cerca di capire anche quali nuovi materiali usare nelle future missioni, come titanio e leghe di alluminio o resine epossidiche con fibre di carbonio.