Dagli spettrometri di massa al cloro-36, dal radiocarbonio al potassio-40: negli ultimi settant’anni le tecniche di datazione per determinare l’età delle rocce e degli oggetti antichi si sono affinate sempre di più. Grazie all’analisi del processo di decadimento di diversi isotopi radioattivi è stato possibile stimare l’età di qualsiasi materiale presente sulla Terra. Ma la radiodatazione non si è mai spinta fuori dal nostro pianeta, e la stima dell’età di oggetti extraterrestri è sempre stata fatta a partire da ciò che di extraterrestre avevamo a disposizione: meteoriti, rocce spaziali, campioni lunari. Fino a oggi. Per la prima volta nella storia, è stata determinata l’età di una roccia del pianeta Marte, e il processo di datazione è avvenuto direttamente sul suolo marziano.
Autore dell’esperimento è un gruppo di ricerca del California Institute of Technology (Caltech), guidato dal geochimico Ken Farley. Il progetto faceva parte di un più ampio disegno del Mars Science Laboratory (MSL) in preparazione della missione su Marte iniziata nel 2011. Prima di lanciare il rover Curiosity alla volta del Pianeta rosso, infatti, la NASA aveva chiesto a una selezione di scienziati di tutto il mondo di proporre possibili esperimenti da fare con la strumentazione già progettata dal MSL. Farley aveva proposto di analizzare le rocce di Marte con tecniche simili a quelle utilizzate per le datazioni terrestri. L’idea era piaciuta, il progetto partito.
Ora sono arrivati i primi risultati, e con essi una prospettiva completamente nuova con cui guardare alla storia geologica di Marte. Le cui rocce possono essere studiate proprio come quelle nostrane: in particolare, con la tecnica potassio-argon. Si tratta di un metodo di datazione che consiste nella misura di quanto gas argon è contenuto in una roccia e nel calcolo del tempo di decadimento dell’elemento da cui il gas ha avuto origine, il potassio. Infatti gli atomi dell’isotopo radioattivo di potassio (chiamato potassio-40) decadono col tempo in una roccia che forma spontaneamente atomi stabili di argon-40. Il decadimento avviene in un intervallo conosciuto, pari a 1,3 miliardi di anni, quindi determinando la quantità di argon-40 in una roccia si può calcolare con buona approssimazione la sua età.
Questa datazione richiede strumenti sofisticati, per nulla facili da trasportare nello spazio e da utilizzare su altri pianeti. Ma Farley ha aggirato l’ostacolo grazie al Sample Analysis on Mars (SAM) della NASA, che usando il braccio robotico di Curiosity ha prelevato dei campioni di roccia e li ha “spediti” al laboratorio analisi situato nel cuore del rover. Qui le temperature delle rocce marziane sono state innalzate in modo da far rilasciare i gas e poter così applicar le tecniche di radiodatazione. Il verdetto: Marte ha da 3,86 a 4,56 miliardi di anni. O almeno una delle sue rocce: per avere una risposta completa bisognerà aspettare ulteriori risultati. Già questo dato però è in grado di confermare le precedenti ipotesi fatte con la conta dei crateri, stime basate sul semplice principio per cui un pianeta con più crateri è stato bombardato di più dai meteoriti ed è quindi presumibilmente più vecchio. Il che fa ben sperare sull’affidabilità della tecnica utilizzata dai ricercatori del Caltech.
“In un certo senso, questo risultato non è sorprendente: è il numero che tutti si aspettavano” ha commentato Ken Farley. “La cosa sorprendente è che l’abbiamo ottenuto con una strumentazione che non era stata progettata a questo scopo. Il fatto che i dati sono coerenti con le stime precedenti dimostra che la tecnica funziona, e funziona piuttosto bene”.
I risultati dello studio sono stati pubblicati questa settimana su Science, insieme ad altri cinque articoli che hanno raccontato le prime tappe dell’affascinante viaggio di Curiosity sul Pianeta rosso. La datazione radiometrica sembra così essere entrata a pieno diritto nell’insieme di tecniche utilizzate per uno dei principali obiettivi della missione, esplorare la possibilità di vita nell’antico passato di Marte.
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “In Situ Radiometric and Exposure Age Dating of the Martian Surface“, di K. A. Farley et al.