Si chiamano elettroni ultrarelativistici e si muovono a velocità elevatissime negli strati più alti dell’atmosfera. Sono i protagonisti delle fasce di Van Allen, le ciambelle che circondano la Terra e che sono nel mirino degli astrofisici da quando la NASA ha inviato due sonde per esplorarne la struttura.
Oggi una nuova ricerca pubblicata su Nature risponde finalmente a una domanda che negli ultimi anni ha suscitato grandi controversie nel mondo scientifico: come si formano queste particelle super energetiche?
Si tratta di una questione cruciale, e non solo perché era tra gli obiettivi primari della missione della NASA: l’enorme quantità di radiazioni “intrappolate” nelle cinture di Van Allen costituisce un serio rischio per i satelliti lanciati nello spazio, così come per gli astronauti che svolgono attività di manutenzione al di fuori dei veicoli spaziali. Quindi capirne l’origine potrebbe avere importanti risvolti pratici per orientare le future missioni nello spazio.
Ma andiamo con ordine. La presenza nelle fasce di Van Allen di elettroni ultrarelativistici (ovvero accelerati a una velocità vicina a quella della luce) è nota già dagli anni ’90. Meno chiaro era invece il luogo di origine di queste particelle: le due ipotesi più accreditate, in contrasto tra loro, erano la teoria della diffusione radiale e la teoria dell’accelerazione stocastica locale. Secondo la prima gli elettroni hanno origine fuori dalle cinture di Van Allen, mentre per la seconda vengono accelerati direttamente all’interno delle fasce.
La diatriba è andata avanti diversi anni, e risolverla era uno degli obiettivi del lancio delle sonde NASA nelle cinture di radiazione terrestri (missione chiamata Radiation Belt Storm Probes e poi ribattezzata proprio Van Allen). Il mistero è stato dissipato prima del previsto: i dati provenienti dalle sonde hanno dato ragione alla teoria dell’accelerazione locale, quindi gli elettroni diventano relativistici per un meccanismo interno alle fasce.
Quale fosse questo meccanismo non era però ancora del tutto chiaro. E qui arriviamo al nuovo studio di Nature. L’articolo, che ha come prima firma Richard Thorne dell’UCLA College of Letters and Science, presenta i risultati di misurazioni satellitari degli elettroni ultrarelativistici durante una tempesta geomagnetica avvenuta il 9 ottobre 2012. L’evento, che ha prodotto un’improvvisa impennata del flusso di elettroni, era lo stesso la cui analisi aveva fatto pendere l’ago della bilancia verso la teoria dell’accelerazione locale.
Thorne e colleghi hanno costruito una modellizzazione numerica della tempesta, che ha individuato il principale responsabile della formazione degli elettroni relativistici: si tratta del cosiddetto “coro”, fenomeno elettromagnetico causato da onde radio che oscillano a frequenze molto basse, tra 0 e 10 KHz. Mai nome è stato più azzeccato: il suono di queste onde è persino percepibile dall’orecchio umano, come ha dimostrato poco più di un anno fa un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Iowa. Ora il coro di onde radio entra a pieno titolo sotto i riflettori già puntati su Van Allen, confermando la teoria dell’accelerazione locale e dando un’ulteriore chiave per comprendere l’origine degli elettroni più veloci della nostra atmosfera.