Non si lo può certo dire adatto per la vita, con quei 104 gradi di temperatura che si ritrova. Ma per la morte non lo batte nessuno: se mai c’è un mondo, nella galassia, in cui la terra può davvero essere lieve è proprio il soffice KOI-314c. È lui la leggerissima sorpresa che gli scienziati dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) hanno portato oggi a Washington, infilato nella calza della Befana, in occasione del 223esimo convegno dell’American Astronomical Society. La sua massa è più o meno pari a quella della Terra, ma il diametro è di circa il 60 percento più grande. Facendo un po’ di conti, significa che la sua densità è straordinariamente bassa, per essere un pianeta così piccolo: appena il 30 percento superiore a quella dell’acqua. Cifre che lasciano supporre si tratti d’un mondo avvolto da una spessa atmosfera d’idrogeno ed elio. Centinaia di chilometri, calcolano gli scienziati, suggerendo che in origine potesse trattarsi d’una sorta di Nettuno in formato mignon, privato poi nel corso del tempo di buona parte dell’atmosfera, evaporata a causa della radiazione proveniente dalla stella madre.
Stella remota e contrassegnata dal solito prefisso KOI (ovvero Kepler Object of Interest) che contraddistingue i corpi celesti individuati dalla sonda Kepler, il cacciatore d’esopianeti della NASA prepensionato nel maggio scorso, e dal numero progressivo 314 (questo già più facile da ricordare), KOI 314 è una tenue nana rossa a 200 anni luce da noi. Ad orbitarle attorno – oltre al nostro campione di leggerezza, che compie la sua rivoluzione in 23 giorni – c’è anche almeno un altro pianeta, KOI-314b, grande suppergiù come il fratello ma decisamente più denso: la sua massa è pari a 4 volte quella della Terra.
Ed è proprio la presenza di questo massiccio fratello, il cui periodo orbitale è invece di 13 giorni, ad aver reso possibile la scoperta e la misurazione di KOI 314c. Scoperta del tutto inattesa, visto che l’obiettivo primario della ricerca erano le esolune. «Le variazioni del tempo di transito mostravano chiaramente che si trattava di un secondo pianeta, e non di una luna», dice David Kipping, del CfA, primo autore dell’articolo che descrive la scoperta, già inviato per la pubblicazione a The Astrophysical Journal. «All’inizio, quando abbiamo capito che non era una luna, è stata una delusione. Poi però ci siamo resi conto d’essere davanti a una misura straordinaria».
Già, perché calcolare il diametro d’un pianeta, per quanto sia piccolo, è abbastanza semplice, soprattutto disponendo di dati della qualità di quelli raccolti da Kepler: basta misurare più e più volte la diminuzione di luminosità provocata dal suo passaggio innanzi alla stella madre. Calcolarne la massa, però, è tutta un’altra storia: di solito, infatti, richiede che venga misurata l’ampiezza delle oscillazioni della stella madre indotte dalla gravità del pianeta stesso. Oscillazioni impercettibili, con un pianeta leggero come KOI 314c: non a caso, il detentore del precedente record di “leggerezza misurata” (Kepler 78b) pesava il 70 percento in più della Terra.
La misura della massa di KOI 314c è stata compiuta seguendo un sistema analogo ma non identico, possibile solo quando c’è almeno un altro corpo in orbita attorno alla stella: la tecnica delle variazioni del tempo di transito (TTV), quella appunto alla quale fa riferimento Kipping. Variazioni introdotte dalla perturbazione gravitazionale esercitata, in modo reciproco, dai due pianeti l’uno sull’altro. «Invece di cercarle in una stella, cerchiamo le oscillazioni in un pianeta», riassume il secondo autore della ricerca, David Nesvorny, del Southwest Research Institute. Un metodo molto recente (la prima misura di successo risale al 2010), quello delle TTV: irrinunciabile nella caccia alle esolune, in questo caso ha invece consentito di risalire con buona precisione alla massa dei due pianeti.