Ci sono voluti quasi dieci anni per progettarlo, costruirlo, testarlo e renderlo così operativo, ma a quanto pare l’attesa è stata ripagata pienamente. Il GPI (Gemini Planet Imager) ha da poco iniziato a sfornare le sue prime immagini dirette di sistemi planetari, che sono state presentate durante il 223° meeting dell’American Astronomical Society in corso a Washington. Grande come una piccola utilitaria, GPI analizza la luce raccolta dallo specchio principale di 8 metri di diametro del telescopio Gemini South, che si trova sulle montagne cilene, migliorando la qualità delle osservazioni con un sistema di ottica adattiva progettato ad hoc. Rispetto agli analoghi dispositivi per la riduzione degli effetti negativi sulle immagini dovuti alla turbolenza atmosferica, quello di GPI è composto da un piccolo specchio deformabile di appena 2 centimetri quadrati sul cui retro sono presenti 4096 attuatori che ne modellano la forma. E questo per compensare le distorsioni sull’immagine prodotte sulla luce degli oggetti celesti nell’attraversamento degli strati più bassi dell’atmosfera terrestre. Lo specchio inoltre non è fatto di vetro ma da una banda deformabile di silicio, la cui forma viene modellata fino a mille volte al secondo con una precisione migliore di un nanometro (miliardesimo di metro).
Anche grazie a queste caratteristiche uniche, con GPI gli astronomi sono in grado di produrre immagini dirette di pianeti extrasolari fino a 10 milioni di volte meno luminosi delle stelle attorno a cui orbitano. Come Beta Pictoris b, il pianeta che è stato ripreso nel novembre scorso durante le osservazioni di prima luce del Gemini Planet Imager, che è anche riuscito a produrre il primo spettro di questo corpo celeste. Una seconda ripresa è stata invece effettuata sul sistema della stella HR4796A, evidenziando anche grazie alla modalità di osservazione in luce polarizzata i dettagli del disco di gas e polveri che lo circonda.
“Le prestazioni richieste a questo strumento sono davvero estreme” dice Lisa Poyneer, ingegnere del Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL) negli USA, istituto di ricerca che ha guidato la costruzione di GPI. “Come naturale conseguenza, il suo sistema di ottica adattiva presenta numerose nuove tecnologie pensate specificamente per gli studi sugli esopianeti. Dopo anni di sviluppo e collaudi, è davvero gratificante constatare che il dispositivo funzioni così bene e ci restituisca immagini così notevoli”.
GPI dunque si aggiunge alla strumentazione più avanzata di cui dispongono oggi gli astronomi, completando e non soppiantando gli altri già in funzione, sia dallo spazio (come la missione Kepler) che da Terra (come gli spettrometri di precisione HARPS south e HARPS north, quest’ultimo installato al Telescopio Nazionale Galileo sulle isole Canarie). Kepler infatti è progettato per dare il meglio di sé nella caccia a pianeti di piccola taglia vicini alle stelle madri di età avanzata mentre il Gemini Planet Imager è capace di riprendere pianeti di recente formazione e di taglia gioviana con orbite ben più estese.
“GPI rappresenta un passo fondamentale nella strada che porta alla comprensione di come si formano ed evolvono i sistemi planetari” sottolinea Dmitry Savransky, dapprima postdoc al LLNL ed ora alla Cornell University. “Le missioni di survey ad ampio campo hanno mostrato la grande abbondanza e varietà di pianeti che popolano la nostra Galassia. GPI ci permetterà di studiarne una frazione di essi, ma con un eccezionale livello di dettaglio”.