Cosa c’è al di fuori delle galassie? La domanda, apparentemente banale, suggerirebbe una risposta altrettanto banale: il vuoto. In realtà gli astrofisici negli ultimi anni stanno consolidando la convinzione che a circondare le galassie, o almeno una frazione significativa di esse, ci siano estesi aloni di gas che possono estendersi per centinaia di migliaia di anni luce (su Media INAF ne abbiamo parlato recentemente anche qui). Identificare questi tenui gusci è impresa quanto mai ardua, poiché la radiazione elettromagnetica da essi emessa è debolissima. Gli scienziati sono riusciti ad aggirare l’ostacolo sfruttando la radiazione prodotta dai quasar distanti, che irraggiano una sterminata quantità di energia e brillano come fari fin dai più remoti confini dell’universo. Quando una galassia viene a trovarsi allineata lungo la nostra linea di vista con un quasar più distante, la luce del quasar la attraversa e viene parzialmente assorbita, rivelando così le caratteristiche del gas assorbitore. Sfruttando questo fenomeno, un team di ricercatori statunitensi guidato da Troy Hacker e Robert Brunner, entrambi dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaigne, ha analizzato i dati della Sloan Digital Sky Survey e in particolare un campione di quasar la cui luce risultava in parte assorbita. Il loro obiettivo era ricostruire la distribuzione del gas – principalmente idrogeno- che aveva causato l’attenuazione del segnale.
La novità introdotta nel lavoro, pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è stata quella di confrontare la radiazione di una stessa sorgente in due periodi diversi. Un approccio non convenzionale e apparentemente inutile, in quanto è opinione comune che cambiamenti significativi nella struttura di nebulose e galassie avvengono su tempi di migliaia, milioni o addirittura miliardi di anni. Invece, la ‘scommessa’ dei ricercatori sembra essere risultata vincente poiché ha evidenziato, seppure in un piccolo numero di casi, spostamenti misurabili di nubi gassose giganti nell’arco di appena cinque anni, il tempo intercorso tra la prima e la seconda misura della radiazione dei quasar.
“L’aspetto sorprendente di questo lavoro è che il gas è molto distante dal quasar che lo ha ‘illuminato’ e non ha interazioni con esso” dice Hacker. “Qualcosa legato alle galassie e non ai quasar sta causando le variazioni osservate”.
Una possibile spiegazione proposta dagli scienziati è che le nubi di gas siano più piccole di quanto finora stimato. “Abbiamo osservato strutture grandi dieci, forse cento unità astronomiche, che sono enormemente più piccole rispetto a quanto predetto dalle attuali teorie” prosegue Hacker. “E questo risultato solleva molte altre domande. Simili ‘piccoli’ agglomerati di gas nelle galassie potrebbero essere più numerosi di quanto pensassimo. Come sono arrivati lì? Cosa implica la loro presenza riguardo ai processi di formazione ed evoluzione delle galassie?”
Queste domande sono legate alla nostra comprensione della distribuzione del gas attorno alle galassie, che si ritiene sia distribuito in modo uniforme e pressoché sferico attorno ad esse. Se questa fosse la prassi, le variazioni osservate dai ricercatori statunitensi avrebbero dovuto avvenire nell’arco di milioni di anni. “Le nuove osservazioni suggeriscono invece che il gas negli aloni di alcune galassie sia distribuito non in modo omogeneo, ma concentrato in nubi relativamente piccole, o comunque in filamenti con significative variazioni di densità su scale piccole” commenta Guido Risaliti, ricercatore INAF presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri. “Queste osservazioni potrebbero costituire un importante nuovo “ingrediente” per i modelli di formazione ed evoluzione delle galassie, che fino ad oggi non considerano variazioni della distribuzione di gas negli aloni. In questo modo, dalla scoperta di questo effetto su piccole scale potrebbero essere fatti, a catena, nuovi importanti passi avanti nella nostra comprensione generale della formazione ed evoluzione delle galassie”.
Per saperne di più:
- l’articolo Narrow absorption line variability in repeat quasar observations from the Sloan Digital Sky Survey di Troy Hacker, Robert Brunner, Britt Lundgren e Donald G. York pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society