Spazio, ultima frontiera dei cercatori d’oro. Così potremmo riadattare la frase con cui iniziavano gli episodi della celeberrima serie tv “Star Trek”. Negli ultimi anni infatti la corsa al nobile metallo, ma anche ad altri elementi chimici preziosissimi, come il platino, il palladio, l’iridio e altri ancora, sta spostandosi con crescente determinazione al di fuori della Terra, in particolar modo verso gli asteroidi che popolano il Sistema solare. Un Klondike del terzo millennio dove lanciarsi in avventure che potenzialmente potrebbero restituire ricavi a dodici cifre (migliaia di miliardi di dollari o euro, per capirci) , ma in cui non basta dotarsi di spirito di adattamento, badili e braccia forti per ottenerli. Qui bisogna progettare veicoli spaziali specifici, costruirli, pianificare missioni di ricognizione, sondaggio e trasporto del prezioso carico qui sul nostro pianeta e, se previsto equipaggio umano, prevedere un adeguato addestramento dei futuri astro-minatori. Tutto questo non si improvvisa, ci vogliono enormi investimenti economici e di risorse umane, oltre che molta lungimiranza. La NASA, dal canto suo, ha già dimostrato un concreto interesse per questo settore, o meglio per l’esplorazione scientifica degli asteroidi, e ha presentato la scorsa primavera la New Asteroid Initiative per scegliere un asteroide adatto ad essere catturato, trascinato su un’orbita intermedia tra Terra e Lunae quindi esplorato da astronauti in carne ed ossa. Ma anche i privati si stanno muovendo concretamente. Un paio di anni fa è stata fondata la Planetary Resources, finanziata tra gli altri da James Cameron (il regista di Titanic e Avatar), dai dirigenti di Google Larry Page e Eric Shmidt e dal fondatore di Virgin Group Richard Branson, già coinvolto in un’altra avventura, quella di rendere realtà il turismo spaziale coi i viaggi suborbitali della sua compagnia Virgin Galactic. Alla Planetary Resources, dopo qualche tempo, si è affiancata la Deep Space Industries, nata con lo stesso obiettivo di sfruttare tramite robot e sonde automatiche gli asteroidi recuperando i loro minerali.
In questa nuova sfida scientifica, tecnologica e finanziaria, uno degli aspetti più critici è conoscere prima dove andare a cercare o, almeno, dove ci sono le più alte possibilità di trovare i minerali più rari e quindi più redditizi. Studi di settore già realizzati hanno acceso l’interesse di ricchi tycoon verso i nostri sassi spaziali e le ricchezze in essi celate. A smorzare però l’entusiasmo arriva un nuovo studio sugli asteroidi e sulla loro effettiva convenienza economica, firmato da Martin Elvis, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, Stati Uniti. Nel suo articolo sulla rivista Planetary and Space Science, Elvis analizza i fattori che rendono un asteroide commercialmente appetibile e quanti ce ne possano essere tra quelli ad oggi noti. Un’indagine a detta dello stesso autore ancora avvolta da notevoli incertezze ma che sostanzialmente ridimensiona il numero dei potenziali obiettivi per missioni di sfruttamento minerario extraterrestre rispetto a quanto finora ipotizzato, in base a tre principali argomentazioni. La prima è che gli oggetti celesti più adatti dal punto di vista della tipologia dei minerali in essi contenuti sono gli asteroidi appartenenti alla classe M (ferro-nichel) in cui dovrebbero trovarsi le concentrazioni più elevate di metalli, anche quelli rari sulla Terra come platino, palladio e iridio. Ma questi sarebbero solo l’uno per cento della popolazione. Poi c’è il fattore legato alla facilità di raggiungerli, determinato dalla loro distanza e tipo di orbita, che praticamente elimina dalla lista quelli molto lontani dalla Terra. Il terzo argomento che abbassa ulteriormente il ventaglio delle potenziali miniere orbitanti è dato dalle dimensioni degli asteroidi: sotto i 100 metri sarebbero un flop economico, poiché troppo piccoli per recuperare con i materiali raccolti le spese di missione.
In disaccordo con questa visione – e non poteva essere diversamente – Eric Anderson, co-fondatore della Planetary Resources, intervistato su questo argomento dalla BBC. Anderson ribatte tutte le argomentazioni di Elvis, sottolineando che dal suo punto di vista lo studio dell’astrofisico statunitense indica un numero di obiettivi appetibili tra le cento e le mille volte più basso di quanto sia realmente. In più “finora abbiamo scoperto l’uno per cento degli asteroidi del Sistema solare e ne continuiamo a scoprire di nuovi a un ritmo molto elevato” aggiunge. “Ogni giorno se ne aggiungono alla nostra lista due o tre. Se arriveremo a individuare il 10 % del totale, gli asteroidi noti balzeranno dagli attuali 650.000 a 6 milioni e mezzo”.
“Voglio sottolineare che il mio articolo non implica che non ci sia un futuro commerciale nell’estrazione mineraria sugli asteroidi” replica Elvis sempre alla BBC. “Il lavoro indica che le miniere d’oro sono rare, cosa che non dovrebbe sorprendere troppo. Non tutte le montagne sulla Terra nascondono una fortuna, e la stessa cosa vale per quelle che viaggiano nello spazio”.
Per saperne di più:
- la news su Media INAF Asteroidi d’asporto
- l’articolo How many ore-bearing asteroids? di Martin Elvis pubblicato online sul sito della rivista Planetary and Space Science