Qui su Media INAF ne parliamo spesso (le due news più recenti sono qui e qui), anche perché oltre all’indubbio interesse scientifico che sollevano, le loro immagini sono davvero spettacolari. Le nebulose ad emissione, composte principalmente da idrogeno caldo e ionizzato (da qui la loro denominazione tecnica H II, dove H sta per idrogeno, II è il termine che ne indica lo stato di ionizzazione, dovuto alla perdita del suo unico elettrone) brillano di luce propria grazie all’intenso flusso di radiazione, soprattutto ultravioletta, prodotta dalle stelle giovani e di grande massa che si trovano al loro interno. Ma perché, nonostante il grande flusso di radiazione ricevuto, queste nebulose, oltre a venire surriscaldate, non vengono spazzate via? A dare una risposta a questo fondamentale quesito che da vari decenni arrovella gli astrofisici ci prova la ricerca guidata da Chris De Pree, direttore del Bradley Observatory presso l’Agnes Scott College negli Stati Uniti, recentemente pubblicata in un articolo sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
De Pree e i suoi colleghi, osservando la nebulosa denominata Sgr B2 (Sagittarius B2) con lo Jansky Very Large Array (VLA), un radiotelescopio nel New Mexico, hanno confermato quelle che prima erano solo speculazioni teoriche. Ovvero, che nelle nubi dove stanno formandosi stelle massicce si addensano anche strutture filamentose di gas che assorbono una frazione rilevante della radiazione ultravioletta. Con il risultato che la nebulosa nel suo complesso tende temporaneamente a raffreddarsi e a ridurre la sua luminosità.
“Nel vecchio modello teorico, quando si viene a formare una stella di grande massa la regione H II attorno ad essa si ‘accende’ e comincia a espandersi. Tutto era chiaro e ordinato” spiega De Pree. “Ma il gruppo di astrofisici teorici con cui collaboro hanno messo a punto simulazioni che dimostrano come le fasi di accrescimento della stella continuassero durante la sua formazione e che la materia continuasse a cadere verso la stella anche dopo che la regione H II si era formata”.
Questo perché il gas interstellare che circonda le stelle massicce non cade uniformemente sulla stella ma invece costituisce concentrazioni filamentose modellate dalla forza di gravità. Quando la radiazione prodotta dalla stella massiccia investe i filamenti, questi ne assorbono principalmente la sua componente ultravioletta, schermando il gas circostante. Considerando questo effetto, si spiega non solo come il gas può continuare a cadere verso le stelle, ma anche perché le nebulose ionizzate osservate con il VLA sono così piccole: esse tendono a contrarsi quando non sono più ionizzate e nel corso del tempo la loro luce sembra tremolare come quella una candela.
Queste transizioni in cui il gas passa da uno stato rarefatto a uno di elevata densità e viceversa avvengono assai rapidamente rispetto agli altri eventi astronomici, addirittura nel giro di poche decine di anni, così come emerge dal confronto delle osservazioni del VLA della regione Sagittario B2 nel 1989 e nel 2012. “La tendenza a lungo termine è sempre la stessa, cioè che le regioni H II si espandono con il tempo”, conclude De Pree. “Ma ad osservarle in modo più accurato diventano più luminose o più deboli in modo ciclico. Misurazioni accurate nel corso del tempo sono in grado di mostrare questo processo più complesso”.
Per saperne di più:
l’articolo Flickering of 1.3 cm Sources in Sgr B2: Towards a Solution to the Ultracompact HII Region Lifetime Problem di C. G. De Pree et al., pubblicato su The Astrophysical Journal Letters