Utilizzando il telescopio Subaru (uno dei telescopi dell’Osservatorio di Mauna Kea, nelle Hawaii), un gruppo di astronomi guidati da Masatoshi Imanishi ha osservato il processo di collisione di 29 galassie molto luminose e ricche di gas studiando nel dettaglio alcuni buchi neri supermassicci (supermassive black holes – SMBHs). Questa tipologia è la più grande tra i buchi neri e si ritiene che quasi tutte le grandi galassie, come la nostra Via Lattea, ne contengano almeno uno. Gli scienziati hanno notato che quasi sempre almeno uno dei buchi neri supermassici presenti in ogni sistema preso in esame si attiva e cresce di luminosità. Tra le galassie in collisione analizzate, però, solo alcune presentano più SMBH attivi contemporaneamente. I risultati dello studio dei ricercatori giapponesi, pubblicato su The Astrophysical Journal, evidenziano che le condizioni locali nei pressi dei buchi neri condizionano la loro attivazione (la quantità di materia, polvere, gas presente) e non solo le caratteristiche generali delle galassie al centro delle quali si trovano.
E’ noto, ormai, che i buchi neri supermassicci di massa compresa tra 1 milione e 10 miliardi di volte quella del Sole si trovano al centro di galassie massicce, spesso frutto, appunto, della collisione e della fusione di galassie più piccole interagenti (vale a dire due o più galassie che si attraggono perché influenzate dalla reciproca forza di gravità). Questo processo favorisce il processo di formazione stellare ma anche l’attivazione dei buchi neri supermassicci perché possono accrescere molta più materia. Quando la materia galattica (polvere e gas circumstellare) viene assorbita da un buco nero supermassiccio, il disco di accrescimento che lo circonda diventa molto caldo perché rilascia energia gravitazionale e, di conseguenza, diventa molto luminoso. E’ questo il processo che sta alla base dei nuclei galattici attivi: l’energia che li alimenta è generata dalla materia che cade all’interno di un buco nero supermassiccio. Questo fenomeno è diverso dalle reazioni nucleari che avvengono tra le stelle, ma comprendere e studiare le differenze di questi fenomeni non è sempre semplice perché polvere e gas avvolgono sia le stelle in via di formazione che i nuclei galattici attivi all’interno delle galassie in collisione.
Per questa tipologia di ricerche sono necessarie le osservazioni all’infrarosso. Il team di ricercatori ha utilizzato l’Infrared Camera and Spectrograph (IRCS) montata sul telescopio Subaru e le sue ottiche adattive per osservare il fenomeno nella banda K, sigla che designa la lunghezza d’onda della radiazione di 2,2 micrometri, e nella banda L’ (a una lunghezza d’onda di 3,8 micrometri). Queste lunghezze d’onda sono state scelte per differenziare l’attività dei buchi neri supermassicci da quella di formazione stellare. L’energia generata dai buchi neri attivi è di gran lunga superiore rispetto a quelle generata dalla fusione nucleare delle stelle. Un buco nero supermassiccio genera una grande quantità di polvere ad alte temperature (a parecchie centinaia di kelvin) il che produce un forte radiazione visibile in banda L’ dell’infrarosso. A queste lunghezze d’onda l’estinzione della polvere è minore e così gli astronomi riescono a rilevare anche i buchi neri attivi più nascosti, che spesso non vengono trovati ad altre lunghezze d’onda dello spettro.
Grazie alle ottiche adattive del telescopio Subaru, gli esperti hanno ottenuto delle immagini ad alta risoluzione che permettono di studiare ancor più nel dettaglio le emissioni originate dai buchi neri supermassicci nelle regioni centrali delle galassie, portando al minimo l’interferenza delle emissioni delle stelle in via di formazione. Con i dati raccolti tramite gli infrarossi hanno scoperto che almeno un buco nero supermassiccio si attiva in ogni galassia tranne una delle 29 studiate. Quattro galassie in collissione, invece, presentano buchi neri multipli, perché le galassie di partenza presentavano già almeno un buco nero supermassiccio. Gli esperti hanno confermato che non tutti i buchi neri supermassicci in galassie così luminose e ricche di gas sono attivi allo stesso modo. La velocità di accrescimento di un buco nero supermassiccio viene misurata, di solito, in base alla luminosità del nucleo galattico attivo e alla massa del buco nero.
Per saperne di più:
Leggi lo studio pubblicato su The Astrophysical Journal: “Subaru adaptive-optics high-spatial-resolution infrared k- and l’-band imaging search for deeply buried dual agns in merging galaxies”, di Masatoshi Imanishi e Yuriko Saito