Se potessimo tornare all’alba del Sistema solare, quattro miliardi e mezzo di anni fa, quando i pianeti che conosciamo oggi non c’erano ancora e attorno al Sole esisteva solo un enorme disco di gas, polveri e ammassi rocciosi relativamente piccoli, troveremmo già l’asteroide Vesta (oggi il secondo più grande tra quelli che popolano la fascia degli asteroidi, con un diametro medio di oltre 500 chilometri). Probabilmente faticheremmo a riconoscerlo, dato che nel tempo i suoi connotati superficiali sono cambiati non poco per colpa di impatti con altri oggetti più o meno grandi, più o meno veloci e di diverse composizioni. I segni di questi molteplici scontri li stiamo leggendo e studiando in grande dettaglio soprattutto grazie alla missione Dawn della NASA e ai suoi strumenti di bordo, tra cui spicca lo spettrometro italiano VIR. Le indagini sulla composizione superficiale del corpo celeste, condotte proprio grazie ai dati raccolti da VIR, ci confermano questo passato turbolento e testimoniano anche impatti con ‘proiettili’ ricchi di acqua, le cui tracce sono state trovate in alcune regioni della superficie di Vesta e in particolare quelle più antiche.
La presenza di acqua su Vesta non si limita però alla sola superficie: alcuni dei meteoriti provenienti da questo asteroide sono composti da rocce che si sono cristallizzate in presenza di acqua nei primi milioni di anni di vita del Sistema Solare. C’è stata dunque un’epoca molto remota e molto ben circoscritta – in confronto ai tempi dei fenomeni astronomici – in cui sembra che in tutto il Sistema solare interno si sia registrata un’impennata di impatti prodotti da planetesimali ricchi di acqua e cui Vesta non ha fatto eccezione. A indagare questo turbolento periodo della storia del nostro sistema planetario è un lavoro di Diego Turrini, dell’INAF-IAPS di Roma e Vladimir Svetsov dell’Accademia delle Scienze Russe a Mosca, recentemente pubblicato sulla rivista Life. La ricerca ha provato a ricostruire, con l’ausilio di simulazioni al computer, l’ambiente primordiale presente attorno al Sole 4.5 miliardi di anni fa (nella fase in cui il più grande dei pianeti, Giove, appena formatosi, è migrato dalla sua orbita iniziale a quella attuale) e l’esito degli impatti di corpi ricchi di acqua (simili alle attuali comete) su Vesta. “La formazione di Giove, unita alla sua migrazione, ha scatenato una profonda destabilizzazione dei piccoli corpi celesti che popolavano il Sistema solare in formazione” Dice Turrini. “Nel nostro lavoro abbiamo indagato se questa fase caotica potesse spiegare l’immissione nelle regioni interne del sistema Solare di detriti ricchi di materiale organico e di acqua che poi avrebbero impattato i corpi principali, così come Vesta, determinandone le abbondanze osservate oggi in superficie e nei meteoriti caduti sulla Terra che in passato si sono staccati dall’asteroide. E la risposta che la nostra analisi ha prodotto non solo conferma questo scenario, ma addirittura indica la possibilità che Vesta sia stata letteralmente ‘inondata’ di acqua, in un rapporto con le sue rocce simile a quello che c’è sulla Terra tra massa solida e oceani. La differenza è che, su Vesta, gran parte di quell’acqua è evaporata o è stata rimossa quasi completamente”.
Secondo i ricercatori, la migliore ricostruzione dei fatti avvenuti si ottiene considerando uno spostamento dell’orbita di Giove relativamente piccolo, ovvero meno di mezza unità astronomica (70 milioni di chilometri) e che il grosso dei corpi celesti che ha causato il bombardamento fossero di una taglia compresa tra uno e due chilometri. “Questa combinazione, anche se non è l’unica possibile tra quelle indagate, risulta la più convincente in base agli indizi osservativi che vengono dalla composizione dei meteoriti provenienti da Vesta e dalle osservazioni della sonda Dawn. Sulla base dei nostri risultati, sappiamo inoltre che il bombardamento subito da Vesta e dai corpi del Sistema Solare interno è costituito solo da una parte dei corpi planetari destabilizzati dalla formazione di Giove. Una frazione altrettanto se non più larga è stata catturata dal pianeta gigante stesso o dal suo sistema di satelliti, influenzandone la composizione finale. Il prossimo passo da fare per comprendere meglio queste fasi antiche della vita del Sistema solare sarà quindi quello di intrecciare la storia narrata da Vesta con quello che impareremo su Giove e i suoi satelliti grazie alla missioni Juno della NASA e JUICE dell’ESA, in entrambe le quali l’INAF con lo IAPS svolge un ruolo di primo piano”.
Per saperne di più:
l’articolo The Formation of Jupiter, the Jovian Early Bombardment and the Delivery of Water to the Asteroid Belt: The Case of (4) Vesta di Diego Turrini e Vladimir Svetsov pubblicato sulla rivista Life