Nei primi anni della sua vita il nostro universo ha attraversato delle fasi piuttosto turbolente. Un plasma rovente di quark e particelle a temperature di diverse migliaia di gradi, una rapida inflazione, elettroni e protoni che viaggiavano liberi. E la transizione dall’oscurità alla luce non è stata indolore. La nascita delle prime strutture è avvenuta a 100 milioni di anni di distanza dal Big Bang, e per avere le prime galassie abbiamo dovuto aspettare quasi un miliardo di anni, quando enormi stelle si sono formate e sono poi esplose, dando il via a una catena di eventi che alla fine ha portato all’Universo come lo conosciamo oggi.
Hanno ormai diversi anni le prime simulazioni al computer che hanno tracciato le enormi forze dell’universo nelle prime centinaia di milioni di anni e che ci hanno dato un quadro generale di come le fluttuazioni di densità residue del big bang si siano evolute nelle prime stelle. Ma con l’avanzare della tecnologia e la nascita di supercomputer sempre più potenti e più veloci la nostra comprensione dei primi eoni dell’universo si fa sempre più chiara.
Milos Milosavljevic, Chalence Safranek-Shrader e Volker Bromm dell’ Università del Texas, hanno recentemente publicato i risultati di diverse simulazioni numeriche effettuate utilizzando alcuni dei supercomputer più potenti del mondo, tra cui i sistemi Stampede, Lonestar e Ranger del Texas Advanced Computing Center. I risultati, descritti nelle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society di gennaio, sono lo stato dell’arte delle nostre conoscenze sulla formazione delle prime galassie e in particolare di come i metalli nelle nubi molecolari abbiano influenzato le caratteristiche chimiche delle prime stelle.
“L’universo era costituito in un primo momento di soli idrogeno ed elio”, spiega Milosavljevic. “Ma all’epoca le primissime stelle formarono i metalli e dopo l’esplosione di quelle stelle i metalli vennero dispersi nello spazio circostante”. Era la prima di molte trasformazioni fisiche e chimiche che l’Universo avrebbe affrontato. I metalli espulsi hanno incontrato i campi gravitazionali degli aloni di materia oscura, creando così una nuova popolazione di stelle. Ma l’esplosione delle prime supernove non ha distribuito materiale in maniera uniforme. Invece di una netta onda d’urto sferica, l’espulsione dei metalli delle prime supernovae è stato probabilmente un processo disordinato, con masse informi di materiale che viaggiavano in ogni direzione come schegge impazzite.
È proprio questa disuniformità ad aver donato i particolari connotati delle prime galassie e ad averne governato l’evoluzione. Mettere ordine in questi processi così complessi è di vitale importanza per capire, per esempio, dove puntare i telescopi per l’osservazione delle prime galassie. I risultati di queste e altre nuove simulazioni torneranno immediatamente utili per esempio al James Webb Space Telescope (JWST), il cui lancio è previsto nel 2018. I dati dei supercomputer indirizzeranno il potente occhio della NASA in zone interessanti dell’Universo, alla ricerca proprio delle prime galassie, e aiuteranno a comprendere i segnali che il telescopio registrerà.
Utilizzando le parole dell’astrofisico Premio Nobel Saul Perlmutter, “questo è un momento davvero emozionante per il campo della cosmologia. Siamo ora pronti a raccogliere, simulare e analizzare dati a un livello superiore di precisione. La scienza computazionale con strumenti ad alte prestazioni è ancora solo ai suoi primi risultati”.