Che la ricerca in Italia non goda di grande considerazione, non è certo una novità, così come non è una novità che, nonostante tutto, ci siano isole felici che reggono benissimo il confronto con i paesi del mondo industrializzato. L’astronomia è una delle aree che vede la ricerca italiana ai primi posti a livello mondiale.
Oltre ad essere di ottima qualità, l’astronomia italiana ha, ai miei occhi, un altro gradevole primato: considerando le 10 nazioni più produttive all’interno dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU), l’Italia è quella che vanta la più alta componente femminile (vedi Media INAF). Il 27 % degli astronomi italiani iscritti alla IAU sono donne contro il 24,6% della Francia, il 20,6% della Spagna, il 15,3% della Cina, il 14,1 dell’Inghilterra, il 13,5 di USA e Canada, il 13,1 dell’Olanda il 12,6 della Svezia, il 10 % della Germania il 6,4 % del Giappone. Stiamo parlando di percentuali, ovviamente, in valore assoluto i nostri numeri sono sempre inferiori a quelli degli altri per l’ottimo motivo che l’Italia ha un forte deficit di ricercatori. Rispetto alla Francia, per esempio, l’Italia ha la metà dei ricercatori, con un investimento in ricerca pari a un terzo di quello francese.
Tornando all’astronomia italiana, la maggior parte delle astronome lavorano all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) dove rappresentano il 32% del personale di ricerca a tempo indeterminato e il 40% del personale tecnico-amministrativo. Bisogna, però notare che la presenza femminile non è uniformemente distribuita nei vari stadi della carriera, ma va assottigliandosi man mano che si sale. Si passa dal 36% a livello inziale al 17% a livello intermedio al 13 % a livello apicale. Quattro delle 17 strutture di ricerca dell’INAF sono dirette da donne, anche se io insisto per farmi chiamare direttore piuttosto che direttrice.
All’università la presenza femminile è un po’ più bassa: si parte dal 24% tra i ricercatori, per passare al 14% tra i professori associati e finire con un magro 9% tra i professori ordinari. Sarebbe importante capire la ragione di questo assottigliamento: perché le donne fanno meno carriera degli uomini? Sono intrinsecamente meno aggressive e non si fanno abbastanza valere? Vengono assorbite dalla cura dei figli e sono meno produttive quando conterebbe maggiormente? Gli impegni familiari limitano la libertà di spostarsi in sedi che potrebbero offrire avanzamenti di carriera? Mentre i problemi caratteriali e quelli della gestione dei figli giocano sicuramente un ruolo importante, quello degli spostamenti è un tema molto più subdolo che colpisce tutte le coppie con due carriere da salvaguardare. Ogni spostamento di uno dei due implica la necessità di trovare una sistemazione soddisfacente per il partner, a meno di trasformarsi in una coppia viaggiante. Va detto che questo non è un problema solo italiano: le coppie con due carriere hanno difficoltà in tutto il mondo. Capita spesso che l’avanzamento di carriera di uno dei due abbia risvolti negativi sull’altro. Nel bilancio tra chi guadagna e chi perde, raramente è la donna a cantare vittoria. Molto più spesso sono le donne a rinunciare in tutto o in parte alla carriera, sacrificando le loro ambizioni alle esigenze familiari. Le eccezioni ci sono, ma sono rare. L’unico esempio che posso citare di un uomo che abbia interamente dedicato la vita alla moglie è Aldo, il marito (amatissimo) di Margherita Hack. Fu grazie alla disponibilità del marito che Margherita poté trasferirsi a Trieste e diventare la prima donna professore ordinario di astronomia oltre che direttore di un osservatorio astronomico.
Ritornando ai dati a livello internazionale, è interessante notare come le nazioni a maggior presenza femminili siano quelle latine. Italia, Francia, Spagna e Argentina battono Inghilterra, USA, Canada, Olanda, Svezia e Germania, nonostante le politiche di promozione delle minoranze messe in opera negli USA, oppure gli ottimi servizi sociali offerti dai paesi scandinavi. Francesca Matteucci e Raffaele Gratton, autori dello studio dal quale sono tratti i dati, si chiedono se la tradizione cattolica giochi un qualche ruolo in questa evidente disparità. Cosa spinge le donne verso la scienza nei paesi latini?
L’articolo appare oggi sul Domenicale del Sole 24 Ore