C’è nessuno là fuori? La domanda delle domande, quella che si pongono tutti gli astronomi, potrebbe un giorno trovare una risposta a partire da una manciata di molecole di ossigeno. È la sfida di un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington, che ha sviluppato un nuovo metodo per analizzare la pressione atmosferica degli esopianeti, i mondi al di fuori del sistema solare. Concentrandosi appunto su un particolare tipo di molecola, detta dimero: l’unione di due subunità (i monomeri) di identica natura chimica, tenute insieme da un legame forte.
Secondo gli autori dello studio pubblicato su Astrobiology, la presenza di dimeri nell’atmosfera di un pianeta potrebbe essere la firma biologica dell’esistenza di vita nello spazio. Per ora i ricercatori hanno testato questa ipotesi dalle nostre parti: studiando l’atmosfera terrestre su una simulazione al computer, hanno isolato i dimeri presenti ad alte pressioni e densità, focalizzandosi in particolare su quelli di ossigeno.
Il metodo, progettato da Amit Misra, dottorando all’Università di Washington, funziona analizzando lo spettro della luce a varie lunghezze d’onda. I dimeri assorbono la luce in un modo particolare, legato appunto alla pressione e alla densità dell’atmosfera.
“L’idea è che se riuscissimo a fare lo stesso su un altro pianeta, potremmo analizzare la modalità di assorbimento della sua atmosfera per isolare i dimeri” spiega Amit Misra. E la presenza di queste molecole potrebbe essere il segno distintivo di un’atmosfera simile a quella terrestre. Il che significherebbe moltissimo: “L’ossigeno è legato alla fotosintesi, e abbiamo prove abbastanza certe che è difficile trovare tante molecole di ossigeno in un’atmosfera a meno che non ci siano delle piante che lo producono” prosegue Misra. “Quindi trovare dimeri attorno a un esopianeta non soltanto ci direbbe qualcosa sulla pressione della sua atmosfera, ma potrebbe significare la presenza di vita”.
Perché questo avvenga, però, dovremo ancora aspettare almeno 10 o 15 anni. Quindi c’è tutto il tempo di organizzarsi, in caso il metodo dell’Università di Washington funzioni davvero.