I quasar sono le sorgenti di radiazione persistenti più potenti dell’Universo. Sono situati al centro di una piccola parte delle galassie, e la loro luminosità può superare di centinaia di volte quella di un’intera galassia “normale”. La sorgente di energia di questi “mostri” è il campo gravitazionale di un buco nero gigante, con massa dai milioni ai miliardi di masse solari. Una delle scoperte fondamentali dell’astronomia extragalattica degli ultimi anni è che un buco nero gigante è presente nella maggior parte – se non in tutte – le galassie: quelli che danno luogo al fenomeno dei quasar sono quelli circondati da un “disco di accrescimento”, che è la sorgente primaria di radiazione, mentre in tutti gli altri il disco non è presente. Un’altra fondamentale scoperta e’ che la formazione e l’evoluzione dei buchi neri giganti è legata strettamente a quella della galassia ospite: gli studiosi ritengono che i buchi neri giganti si siano formati a partire da dei semi di massa non maggiore di diecimila masse solari nell’Universo giovane, e che abbiano aumentato la loro massa attraverso processi di fusione fra buchi neri più piccoli, e/o di accrescimento di gas da parte della galassia ospite. A sua volta, l’accrescimento può essere costituito da tanti brevi processi casuali, o da lunghe fasi caratterizzate da dischi stabili. I diversi modelli di evoluzione galattica predicono diverse combinazioni di questi processi, per cui ricostruire la storia evolutiva dei buchi neri giganti è un modo per capire come le galassie stesse si sono evolute dall’Universo primordiale fino ad oggi. Ma come è possibile ottenere questa informazione? Fortunatamente i buchi neri giganti conservano “memoria” della loro storia nelle uniche due proprietà che li caratterizzano: la massa, e lo “spin”, cioè la quantità di momento angolare. La massa osservata, ovviamente, è la somma di tutta la massa accresciuta in precedenza. Lo spin invece dipende da come tale massa e’ stata aggiunta: se i processi di accrescimento sono tanti, e non correlati fra di loro, ci si aspetta che ognuno trasmetta al buco nero una rotazione in una direzione diversa. Il risultato finale sarà una rotazione bassa. Se invece il processo e’ ordinato, la materia proveniente dal disco spingerà il buco nero a ruotare sempre più velocemente nella stessa direzione, e lo spin finale sara’ alto.
La domanda che a questo punto sorge spontanea è: come misurare la rotazione di un buco nero? E qui entrano in gioco i quasar: l’unico modo che abbiamo per studiare le proprietà di un buco nero è attraverso l’effetto che esso ha sullo spazio circostante. La teoria della Relatività Generale di Einstein permette di calcolare come la luce emessa nella zona immediatamente all’esterno di un buco nero venga alterata dalla enorme gravità prodotta dal buco nero stesso. Questa alterazione, che consiste in un cambiamento di colore della luce osservata, dipende dallo spin: quindi osservando i colori della luce emessa si può capire se e quanto un buco nero sta ruotando! Questa misura in pratica e complicatissima: per poter misurare questi cambiamenti di colore, occorre sapere molto bene quali sono i colori emessi inizialmente. Ad esempio, se osservo una luce di colore rosso in un quasar, essa potrebbe essere una luce verde alterata dalla gravità del buco nero, ma anche una luce davvero rossa fin dal principio. L’unica parte della luce emessa di cui pensiamo di conoscere bene il colore iniziale è una debole componente riflessa dal disco di accrescimento nei raggi X. Le nostre speranze di misurare la rotazione dei buchi neri giganti sono quindi basate su misure precisissime di questa particolare luce, visibile solo nei raggi X con i telescopi spaziali. Tali misure sono state fatte solo per un piccolo numero di sorgenti in galassie vicine alla nostra, le più brillanti dal nostro punto di vista, ma non le più luminose: sono brillanti soprattutto per la loro vicinanza!
Il risultato presentato oggi online su Nature da Rubens Reis dell’Università del Michigan (USA) e dai suoi collaboratori è una misura che probabilmente rimarrà unica per molto tempo: la misura precisa dello spin in un quasar che si trova a più di 6 miliardi di anni luce di distanza: la luce che noi osserviamo oggi è stata emessa quando l’Universo aveva circa la metà dell’età che ha oggi! Questa eccezionale misura sembra smentire quanto detto prima: la luce osservata di sorgenti a questa distanza, anche le più luminose, dovrebbe essere troppo debole per questo tipo di misura! Invece, la misura è precisissima e basata su uno dei più dettagliati spettri di luce mai ottenuti per un quasar nei raggi X. L’apparente paradosso è dovuto ad un “regalo” che la natura ci offre, ovvero una rara disposizione di galassie nel cielo: il quasar osservato si trova, rispetto a noi, dietro una grande galassia ellittica, che con la sua massa crea una “lente gravitazionale”: anche questo è un effetto di Relatività Generale, e consiste nella curvatura della luce del quasar da parte del campo gravitazionale della galassia posta fra esso e noi. L’effetto è quello di quadruplicare l’immagine del quasar e di aumentarne grandemente la luce osservata, proprio come con una lente! In questo modo, sommando la luce proveniente dalle quattro “copie” del quasar, si ottiene uno degli spettri più dettagliati mai osservati!
L’analisi di questo spettro ha portato a concludere che il buco nero gigante in questione ha una rotazione enorme, la massima prevista dalla teoria. Questo significa che è stato prodotto da un accrescimento continuo e ordinato di una grande quantità di gas, oppure che è il risultato di una gigantesca fusione di due buchi neri di simile massa, dovuta ad uno scontro fra due galassie.
Anche se questo tipo di misura rimarrà unico, o perlomeno molto raro, per molto tempo, è affascinante vedere come la natura abbia fornito un mezzo per squarciare un velo su una sorgente così estrema e così lontana, e normalmente inaccessibile per questo tipo di studi!
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