C’era un tempo in cui Mercurio era molto caldo: più di quattro miliardi di anni fa, il più piccolo pianeta del sistema solare era ricoperto da un mare di magma. Poi, raffreddandosi, ha iniziato a ritirarsi e farsi sempre più piccolo. La crosta si è solidificata, è diventata arida e rocciosa, e i segni del tempo e della graduale contrazione hanno scolpito la sua superficie, decorandola con scarpate rocciose, creste e dorsa, quasi fossero rughe geologiche.
L’evoluzione del pianeta era nota. A differenza della Terra, con le sue numerose placche tettoniche, Mercurio ha un unico rigido strato roccioso. E la sua storia sarebbe quindi dovuta essere molto meno complessa di quella nostro pianeta. Eppure qualcosa non tornava: i modelli teorici restituivano una contrazione di gran lunga maggiore di quella che gli astronomi erano riusciti a calcolare sperimentalmente a partire proprio dalle osservazioni geologiche a distanza.
A mettere a posto le cose ci hanno pensato le nuove immagini globali e i dati topografici raccolti dalla sonda MESSENGER,. I risultati della nuova ricerca, pubblicati on line su Nature Geoscience, sono la chiave per comprendere l’evoluzione termica, tettonica e vulcanica del pianeta, e la struttura del suo nucleo metallico insolitamente grande.
Le osservazioni di MESSENGER costituiscono la prima indagine completa della superficie del pianeta e sono le più dettagliate e precise mai ottenute. Prima di oggi solo il 45% della superficie del pianeta era stato rilevato dai veicoli spaziali, e le vecchie stime, costruite sulla base di questa copertura non globale, avevano suggerito che negli ultimi 4 miliardi di anni il pianeta si fosse contratto radialmente tra gli 0,8 e i 3 chilometri, sensibilmente meno di quanto indicato dai modelli teorici che prevedevano una contrazione radiale di circa 5/10 chilometri. I nuovi risultati danno una stima della contrazione attorno ai 7 chilometri, in accordo con le previsioni teoriche.
“Questi nuovi risultati risolvono una contraddizione vecchia decenni tra i modelli della storia termica e le stime della contrazione di Mercurio”, ha sottolineato l’autore principale dello studio, Paul Byrne , geologo planetario e ricercatore del team MESSENGER. “Il fatto curioso è che i nostri risultati ricordano i modelli ormai obsoleti per la creazione di montagne sulla Terra, risalenti a lla metà dell’800 quando la comunità scientifica pensava che il nostro pianeta avesse una sola placca tettonica”. Modelli ora non più validi per la Terra, ma che sembrano descrivere perfettamente la storia di Mercurio.
Byrne e coautori hanno identificato un numero molto maggiore e geologicamente più vario di strutture sulla superficie del pianeta: quasi seimila creste e scarpate attribuibili alla contrazione globale, con dimensioni che variano tra i 9 e i 900 chilometri di lunghezza.
“Mi sono interessato all’evoluzione termica di Mercurio da quando la sonda Mariner 10 ha inviato le immagini delle grandi scarpate del pianeta nel 1974/75, ma i modelli della sua storia termica prevedevano una contrazione molto più grande di quella desunta dalle osservazioni di Mariner 10”, racconta Sean Solomon, ricercatore leader della missione, direttore del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University. “Questa discrepanza tra teoria e osservazione, un grande puzzle per quattro decenni, è stato finalmente risolto. È fantastico vedere come la nostra comprensione teorica sia infine accompagnata da prove geologiche”.