Esistono due tecniche per dare la caccia ai pianeti extra solari. L’influenza gravitazionale che ha un pianeta sulla propria stella madre orbitandogli attorno, tecnica questa propria dello spettrografo HARPS e quella del transito, cioè la diminuzione di luminosità che provoca alla sua stella madre un pianeta transitandole davanti, tecnica propria del satellite Kepler.
Ma da oggi c’è chi ipotizza un’altra tecnica per scovare esopianeti, una tecnica che sfrutta un effetto della teoria di Einstein: la lente gravitazionale. La possibilità cioè di guardare un oggetto lontanissimo grazie alla distorsione spazio-temporale che subisce la luce da lui emessa incontrando lungo la sua strada una massa gravitazionale. Questa distorsione produce un effetto lente che amplifica la luce della sorgente e in alcuni casi moltiplica, ai nostri occhi, la sorgente stessa.
In questo studio guidato da Jennifer Yee dell’Ohio State University l’effetto della lente gravitazionale è stato usato per scoprire un pianeta extrasolare. In realtà i ricercatori hanno notato, osservando una stella lontanissima, che si produceva una variazione della sua luce come da effetto, però la massa gravitazionale che lo produceva non era visibile, perché troppo debole la sua luce in confronto a quella della sorgente. Continuando ad osservare la sorgente ma anche la regione dell’oggetto che ne aveva curvato la luce, dopo qualche tempo hanno registrato un lieve ulteriore increspatura, che li ha portati ad ipotizzare l’esistenza di un pianeta, a cui hanno dato nome MOA-2013-BLG-220Lb. Per i ricercatori l’oggetto intorno al quale orbita potrebbe essere, per dimensioni e scarsa luminosità, una nana bruna.
Ora se le tecniche del transito e dell’influenza gravitazionale hanno bisogno di essere incrociate per determinare l’effettiva esistenza di un pianeta extrasolare, nel caso dell’effetto della lente gravitazionale, secondo gli autori, non vi sono assolutamente dubbi. Anzi, tale tecnica produrrebbe più certezze sul pianeta che sulla sua stella madre. Almeno fino a che la luce della sorgente lontana sia abbastanza separata da renderne possibile l’identificazione.
Per saperlo però gli astronomi dovranno aspettare fino al 2021, quando potranno dare una seconda occhiata a quel sistema avvalendosi dell’effetto della lente gravitazionale.