HA MANCATO LA TERRA NEL 2012

Una tempesta quasi perfetta, per fortuna

Uno studio su Nature Communications rivela che una super tempesta solare, prodotta dall'interazione di due emissioni di plasma coronale avrebbe potuto avere serie conseguenze sull'ambiente terrestre. Il commento di Mauro Messerotti (INAF)

     19/03/2014
La supertempesta solare del 2012 nasce dall'interazione di due eruzioni in rapida successione.  Crediti: Ying Liu

La supertempesta solare del 2012 nasce dall’interazione di due eruzioni in rapida successione.
Crediti: Ying Liu

Sulla Terra non ce ne siamo praticamente accorti, per fortuna, ma a luglio del 2012 il nostro pianeta ha rischiato di essere investito da una potentissima tempesta solare. Così intensa che avrebbe potuto creare seri danni anche ai sistemi di telecomunicazioni satellitari e perfino alle reti elettriche a terra, con un impatto paragonabile a quello che ad oggi è stato l’evento di origine solare più intenso, quello registrato da Richard Carrington nel 1859.

E’ questo in sintesi il quadro che emerge dai risultati di un lavoro condotto da un’equipe di scienziati guidati da Ying Liu, dello State Key Laboratory of Space Weather a Pechino, in Cina e pubblicato sulla rivista Nature Communications.

“Se avesse investito la Terra, si sarebbe riproposta la situazione del 1859, ma l’impatto sulle moderne tecnologie sarebbe stato tremendo” commenta Janet Luhmann, ricercatrice della Università della California a Berkeley, che ha partecipato allo studio. Parole allarmate ed allarmanti, supportate anche da una recente indagine sui costi che produrrebbe su scala mondiale una tempesta solare della stessa intensità di quella del 1859. A leggere la cifra finale si rimane senza fiato: per ripristinare i danni ci vorrebbero 2.600 miliardi di dollari e diversi anni di lavoro!

Liu e colleghi hanno ricostruito e studiato le proprietà di una delle più veloci emissioni di plasma coronale (CME) mai registrate dalle sonde gemelle STEREO che osservano continuamente il Sole e lo spazio interplanetario. Questa gigantesca bolla di gas si è staccata dal Sole il 22 luglio del 2012 e propagata ad oltre sette milioni di chilometri orari, raggiungendo l’orbita della Terra in meno di 19 ore. Un record. Fortunatamente però, il nostro pianeta non era sulla sua traiettoria e quindi non è stato investito.

A determinare questo rapidissimo spostamento, secondo gli autori, sarebbe stata la rara combinazione di almeno due esplosioni a livello della corona solare avvenute nella stessa regione e a breve distanza l’una dall’altra. La seconda CME, più veloce, avrebbe così accelerato la prima. Ma questo da solo non sarebbe bastato a garantirle una velocità così sostenuta per così tanto tempo. Seppure lo spazio interplanetario è sostanzialmente vuoto, normalmente nel loro percorso queste bolle di plasma subiscono una significativa decelerazione, che le fa arrivare all’ambiente terrestre con velocità sensibilmente ridotte rispetto a quelle di partenza. Situazione che non si è verificata nel caso dell’evento del 2012. Per gli scienziati, ad agevolare ulteriormente il cammino della CME superveloce ci avrebbe pensato un’altra emissione di plasma coronale, prodotta quattro giorni prima. Questa avrebbe fatto da apripista per gli eventi successivi, che avrebbero così trovato sulla loro traiettoria un ambiente interplanetario praticamente libero e quindi con una bassa capacità di rallentamento.

“Questa ricerca conferma il ruolo dell’interazione tra CME generate in stretta successione temporale e la genesi di una tempesta spaziale di particolare intensità” commenta Mauro Messerotti, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste. “E’ un aspetto già noto dall’evento di Carrington del 1859, ma per la prima volta si è potuto condurre un’analisi dettagliata del fenomeno impiegando misure in situ da un insieme di satelliti in posizioni diverse rispetto al Sole ed alla terra (STEREO A, STEREO B e SOHO), che hanno misurato i parametri fisici del plasma del vento solare e delle CME prima, durante e dopo la loro interazione. Ciò ha messo in evidenza come la riduzione della densità del vento solare in cui si propagano le CME ad opera di una CME precursore ha favorito la ridotta decelerazione osservata, sostenuta dall’accelerazione impressa dalla seconda CME, più veloce, sulla prima. Il risultato finale di tale interazione tra vento solare e le due CME è stato il mantenimento di una velocità significativa della prima CME e l’intensificazione del suo proprio campo magnetico in seguito all’inibizione dell’espansione ad opera di della seconda emissione di plasma coronale. Ad una Unità Astronomica di distanza dal Sole (pari alla distanza della Terra), si osserva una CME veloce con un campo magnetico diretto a Sud e di notevole intensità. Queste sono le condizioni necessarie per determinare una interazione particolarmente efficiente con la magnetosfera terrestre, in grado di produrre una tempesta magnetica comparabile con quella del 1989, la più intensa dell’era spaziale. Fortunatamente, questa CME non era diretta verso la Terra e quindi l’evento non si è verificato. E’ però sperimentalmente confermato che eventi estremi trovano origine nell’interazione tra il vento solare, quale ambiente di propagazione ed il cui stato fisico deve favorire la conservazione delle condizioni fisiche di lancio delle CME, e le CME interagenti, di cui una vede mantenuta la sua velocità a livelli comparabili con quelli iniziali e vede intensificato il proprio campo magnetico, di polarità opposta a quello geomagnetico. Da questi studi si evincono inoltre due aspetti chiave: la necessità di disporre di satelliti per effettuare osservazioni da posizioni orbitali diverse, in modo da estendere la rilevazione di eventi e di studiarli in tre dimensioni e poi l’evidenza che eventi estremi possono venir originati anche nel corso di cicli solari di modesta entità, come è il caso del ciclo attuale, e possono essere associati a brillamenti di classe X  non particolarmente energetica”.

Per saperne di più:

  • l’articolo Observations of an extreme storm in interplanetary space caused by successive coronal mass ejections di Ying Liu et al. pubblicato on line su Nature Communications