Avete mai pensato a cosa accade all’organismo umano durante mesi e mesi di permanenza nello spazio? Fra le conseguenze fisiologiche più serie ci sono i cambiamenti a cui il cuore degli astronauti deve sottoporsi. Una recente ricerca, eseguita con strumenti ad ultrasuoni su 12 astronauti durante la loro permanenza sulla Stazione Spaziale e condotta da James Thomas, medico della Nasa, ha dimostrato che dopo 6 mesi il loro cuore è diventato più sferico. Le conseguenze a lungo termine di questi cambiamenti potrebbero essere molto serie e portare anche a problemi cardiaci più gravi.
James Thomas, medico a capo della ricerca per la NASA, ha detto che “il cuore non lavora così duramente nello spazio e questo può causare perdita di massa muscolare”. Il team di ricercatori ha insegnato agli astronauti a scattare immagini del loro cuore, usando apparecchiature ad ultrasuoni installate sulla Stazione Spaziale Internazionale, prima, durante e dopo la missione. I dati mostrano che in assenza di gravità il cuore degli astronauti diventa più sferico del 9,4%: una trasformazione simile a quella che i ricercatori avevano previsto in passato utilizzando modelli matematici. Nelle missioni di 6 mesi, come quelle compiute fino ad oggi, la forma sferica sembra essere temporanea in quanto, poco dopo il ritorno sulla Terra, il cuore riprende la sua forma originale allungata. La forma più sferica può indicare che il cuore sia meno efficiente, anche se gli effetti sulla salute non sono per ora stati provati, come ancora non sono noti effetti dopo voli più lunghi.
Sulla Terra, gli astronauti comunemente presentano vertigini o perdita dei sensi in una condizione nota come ipotensione ortostatica, qualcosa che tutti almeno una volta abbiamo provato, cioè il brusco calo della pressione sanguigna in seguito all’improvviso passaggio dalla posizione seduta o sdraiata a quella eretta. Durante i test nello spazio sono state monitorate anche le aritmie e non è stato riscontrato che le radiazioni a cui vengono esposti gli astronauti possano accelerare l’aterosclerosi. “Stiamo quindi studiando le misure che possono essere adottate per prevenire o contrastare questa perdita di massa muscolare”, ha aggiunto il cardiologo.
I ricercatori hanno sottolineato che conoscere la quantità e il tipo di esercizio che gli astronauti devono eseguire per mantenere sano il loro cuore sarà molto importante per garantire la loro sicurezza su un lungo volo come quello verso il Pianeta rosso. I nuovi modelli matematici sviluppati dai medici per questa sperimentazione potrebbero portare, inoltre, ad una migliore comprensione delle malattie cardiovascolari più comuni come cardiopatia ischemica, cardiomiopatia ipertrofica e le disfunzioni delle valvole cardiache. Thomas ha aggiunto che i regimi di allenamento sviluppati per gli astronauti potrebbero, infatti, essere usati per aiutare i pazienti cardiopatici sulla Terra che hanno gravi limitazioni fisiche, come le persone costrette a riposo forzato per lunghi periodi o quelli con insufficienza cardiaca.
Lo studio, presentato nel convegno dell’American College of Cardiology (ACC), si aggiunge alle ormai numerose ricerche che affrontano i danni riscontrati nel corpo umano dopo un volo spaziale della durata superiore anche a un anno e mezzo, come potrebbe essere quello per Marte. Già in passato è stato dimostrato che, dopo anche solo due settimane di missione nello spazio, vengono riscontrati problemi alla vista. Oltre a diversi effetti su ossa e tessuto muscolare, sembra proprio che anche gli occhi risentano pesantemente della permanenza, ad esempio, sulla Stazione spaziale internazionale (i problemi più evidenti si riscontrano dopo lunghe missioni nel 60% degli astronauti).