Tutti quanti abbiamo ben impressa quell’impronta di scarpone sinistro lasciata nel suolo lunare da Neil Armstrong mentre pronunciava la sua celebre frase in mondovisione. Prima che nelle nostre menti, però, quell’orma indelebile è stata impressa nella polvere. Per la precisione, nella regolite: uno strato di materiale misto che copre la superficie dei corpi rocciosi del Sistema solare. Quella della Luna, dunque, ma non solo: c’è regolite sulla Terra e ce n’è anche sugli asteroidi.
Ma come si forma, la regolite? L’ipotesi più gettonata attribuisce la frantumazione agli impatti da meteoriti, che oltre a lasciare crateri sbriciolano le rocce, sottoponendole alla loro sporadica ma incessante azione di martellamento. Se però consideriamo corpi dalle dimensioni ridotte – al di sotto del chilometro – la forza di gravità sembrerebbe non essere sufficiente a trattenere la polvere sollevata dall’impatto, polvere che si alza sotto forma di getti che viaggiano a decine di centimetri al secondo.
Uno studio appena pubblicato su Nature suggerisce dunque un meccanismo alternativo: a sbriciolare il suolo potrebbe essere il rapido alternarsi di alte e basse temperature. Un fenomeno, noto tra i fisici come fatica termica, in grado di provocare crepe nelle rocce che lo subiscono, fino a frantumarle. Per riprodurlo, un team internazionale guidato dall’italiano Marco Delbo’, ricercatore presso l’Observatoire de la Côte d’Azur di Nizza, ha piazzato frammenti di meteoriti all’interno d’uno speciale forno in grado di sottoporli a shock termici paragonabile a quello che gli asteroidi devono sopportare nello spazio.
«Shock simili a quelli che subiscono quando si avvicinano al Sole un po’ più di quanto non sia la Terra», precisa Delbo’ a Media INAF, «con escursioni termiche attorno ai 190 gradi. In laboratorio abbiamo impostato cicli con durata di poco superiore alle due ore, con punte da circa -23 a +166 gradi centigradi. Sugli asteroidi, questi shock di temperatura sono dovuti alla rotazione attorno al proprio asse, dunque al passaggio dal giorno alla notte. E abbiamo osservato il crack – la crepa – che si propaga. In alcuni casi – con i pezzi della meteorite più fragile, la meteorite Murchinson, una condrite carbonacea – abbiamo addirittura osservato la rottura di frammenti».
Avvalendosi dei modelli ottenuti grazie ai dati raccolti con questi esperimenti, Delbo’ e colleghi hanno poi messo a confronto il tempo richiesto per frantumare il 90% delle rocce in quattro classi di asteroidi. E sono giunti a concludere che l’azione polverizzatrice della fatica termica può essere, in molti casi, più rapida di quella dovuta agli impatti da micrometeoriti.
Occorre inoltre sottolineare che la fatica termica agisce anche su corpi più grandi. «Sicuramente può avere un impatto sulla Luna, perché agisce anche sulla sua superficie. E potremmo scoprire che gli attuali modelli di crescita della regolite lunare non siano perfettamente corretti, se non si tiene conto di questo aspetto. Il fenomeno di erosione dei crateri potrebbe risultare più rapido di quanto previsto, e questo proprio a causa degli effetti termici, fino a oggi trascurati».
Per saperne di più:
- Ascolta l’intervista di Media INAF a Marco Delbo’
- Leggi su Nature l’articolo “Thermal fatigue as the origin of regolith on small asteroids” , di Marco Delbo’, Guy Libourel, Justin Wilkerson, Naomi Murdoch, Patrick Michel, K. T. Ramesh, Clément Ganino, Chrystele Verati e Simone Marchi