Gli asteroidi sono sicuramente tra gli oggetti maggiormente sotto osservazione da parte degli astrofisici e non solo. Lo sono per i pericoli che possono rappresentare, come i NEAR; lo sono per le prospettive minerarie e quindi finanziarie che possono rappresentare; e lo sono perché sono la testimonianza di come era il nostro sistema solare ai suoi albori.
Tra gli asteroidi più studiati c’è Vesta, grazie alla missione della NASA Dawn, che sta svolgendo un ruolo unico nello svelarci i processi che hanno scolpito e continuano a scolpire il nostro Sistema Solare. La missione ha una forte componente italiana grazie ad uno strumento fondamentale che vi si trova a bordo: lo spettrometro VIR, realizzato dall’INAF-IAPS con il contributo finanziario dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Avvalendosi di tale strumento, recentemente il team della missione sta dedicando parte dei suoi sforzi allo studio dei materiali chiari e scuri osservati da Dawn sulla superficie di Vesta, per migliorare la nostra comprensione del ruolo degli impatti nello scambio di materiale tra diversi corpi planetari, usando l’asteroide come un vero e proprio laboratorio naturale.
In tre recenti lavori, in corso di pubblicazione sulla rivista ICARUS, i ricercatori dello INAF-IAPS hanno aggredito il problema della natura dei materiali scuri e chiari, da tre angoli diversi.
Nel primo lavoro, coordinato da Andrea Longobardo, si affronta un problema chiave nelle osservazioni nel visibile e nell’infrarosso, ossia che l’immagine ottenuta dallo strumento cambia a seconda del percorso che la luce effettua partendo dal Sole, riflettendosi sulla superficie dell’asteroide e giungendo alla sonda spaziale. Ad esempio la superficie assorbe maggiormente un fascio di luce che giunge perpendicolarmente piuttosto che uno che giunge in maniera radente. Questo crea difficoltà a distinguere su Vesta i terreni più chiari da quelli più scuri, in quanto un terreno potrebbe apparire più scuro non perché è formato da materiale intrinsecamente tale, ma semplicemente perché è osservato sotto un’angolazione differente.
Il lavoro coordinato da Andrea Longobardo, tuttavia, permette di risolvere questo problema: attraverso uno studio dell’interazione della luce con la regolite di Vesta a diversi angoli, è stato possibile ricavare la prima mappa di come si osserverebbe Vesta se tutti i suoi terreni fossero osservati alla stessa angolazione. Dopo tale procedimento, chiamato correzione fotometrica, è più immediato distinguere i terreni intrinsecamente più chiari da quelli intrinsecamente più scuri. Inoltre, questo studio ha evidenziato che nelle regioni più chiare la luce interagisce in modo diverso che in quelle più scure, venendo diffusa maggiormente dalla regolite. In particolare l’interazione nelle regioni più chiare è analoga a quella osservata nelle meteoriti HED, che sono quelle che si suppone provengano da Vesta. Nelle regioni più scure, invece, abbiamo una situazione intermedia da quella che si osserva nelle HED e quella che si osserva nelle condriti carbonacee, le meteoriti più primitive del Sistema Solare. Questo avvalora l’ipotesi che questo tipo di meteoriti ha impattato sulla superficie di Vesta, contribuendo a scurirne alcune zone.
Il secondo lavoro, coordinato questa volta da Federico Tosi, si occupa a sua volta della radiazione infrarossa rilevata da VIR, concentrandosi però sulla componente termica di questo intervallo spettrale.
Era già stato possibile derivare mappe di temperatura spazialmente risolte nel caso dei due asteroidi Steins e Lutetia, incontrati dalla sonda Rosetta nel suo lungo viaggio verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Nel caso di Vesta, però, grazie allo strumento VIR è stato possibile derivare mappe termiche con una risoluzione dell’ordine del chilometro o perfino migliore: un livello di dettaglio mai raggiunto prima.
L’informazione dedotta a lunghezze d’onda termiche è del tutto complementare a quella mineralogica che invece viene inferita a lunghezze d’onda minori e oggetto dello studio di Andrea Longobardo. I ricercatori guidati da Federico Tosi hanno potuto constatare che le due categorie di terreni otticamente chiari e scuri presentano un comportamento termico distinto: le unità scure possono raggiungere temperature diurne di 273 K (pari a -0,15° C), mentre quelle chiare non eccedono i 266 K. Inoltre esiste una netta correlazione tra albedo e temperatura per le unità più brillanti, che appaiono limitate a temperature massime ancora più basse. Un’altra scoperta non meno interessante è stata quella relativa all’aspetto di unità chiare e scure a lunghezze d’onda termiche, che non necessariamente ricalca l’aspetto osservato a lunghezze d’onda ottiche. In questo caso la spiegazione fa riferimento alla coesione del materiale superficiale: contorni termici molto distinti sono indicativi di regioni locali in cui si ha affioramento di materiale compatto (es. massi o blocchi di roccia), mentre contorni termici più evanescenti indicano un maggiore grado di mescolamento con il regolite che ricopre uniformemente l’asteroide.
Nel terzo articolo che ha come primo autore Diego Turrini, i dati forniti da VIR sono stati usati assieme a quelli forniti dalla Framing Camera (FC) e dallo spettrometro a neutroni e raggi gamma GRaND e a quelli disponibili sulle meteoriti HED per calibrare un modello di contaminazione di Vesta basato sugli impatti di micrometeoriti e di asteroidi di diverse dimensioni. Nello specifico, il team di ricercatori ha calibrato il modello di contaminazione in modo da riprodurre in modo corretto la distribuzione del materiale scuro rilasciato dall’impatto di un asteroide carbonaceo sulla superficie di Vesta e il numero di impatti di asteroidi carbonacei avvenuti all’interno del bacino di impatto RheaSilvia dal momento della sua formazione, da 1 miliardo di anni fa a oggi.
Usando il modello così calibrato, i ricercatori hanno potuto confermare che l’idrogeno e il materiale idrato osservati da GRaND e VIR su Vesta possono essere spiegati grazie all’impatto di asteroidi simili alle condriti carbonacee ritrovate sulla Terra e ha rivelato che l’età della maggior parte del materiale scuro osservato sulla superficie di Vesta da VIR non può essere superiore a 1-2 miliardi di anni, mentre GRaND sarebbe in grado di spingersi più in là, mostrandoci materiale scuro giunto su Vesta negli ultimi 4 miliardi di anni.
Il team guidato da Diego Turrini ha inoltre affrontato un secondo mistero, quello della sorte di tutti il materiale “non-scuro” precipitato su Vesta e che dovrebbe rappresentare la maggioranza dei contaminanti. I risultati del team hanno mostrato che tali materiali risultano invisibili alle misurazioni di GRaND se viene usata come tracciante l’abbondanza di ferro (l’elemento su cui si è concentrato finora il team di GRaND). I ricercatori del team sono però stati in grado di identificare un nuovo e più efficace tracciante, il nichel, che potrebbe fornire finalmente una risposta a questo mistero.
Oltre a questi tre lavori, già accettati per la pubblicazione, due ricercatori dell’INAF-IAPS, Ernesto Palomba e Francesca Zambon, stanno guidando la catalogazione delle regioni caratterizzate rispettivamente da materiali scuri e chiari sulla superificie di Vesta utilizzando ancora una volta i dati dello spettrometro VIR. I due cataloghi appariranno, assieme ai tre articoli, in un prossimo numero tematico della rivista ICARUS dedicato appunto ai materiali chiari e scuri identificati dalla missione Dawn.