Pur declassato nel 2006 a pianeta nano, Plutone non ha certamente perso interesse per gli astronomi. Anzi, più si avvicina il momento in cui gli occhi artificiali della sonda NASA New Horizons scruteranno da vicino la sua superficie gelata – un appuntamento previsto per il luglio 2015 – e più diviene frenetico lo sviluppo di ipotesi su come interpretare il panorama che la navicella spaziale ci permetterà di godere.
Una delle ultime idee in questo senso è che la collisione a cui presumibilmente si deve l’origine di Plutone e della sua luna maggiore Caronte, con la quale il pianeta nano sembra formare in realtà un sistema binario, abbia riscaldato l’interno di Plutone in maniera sufficiente da permettere la formazione di un oceano sotterraneo di acqua. Un evento antico che deve avere portato il piccolo corpo del Sistema Solare a possedere per un breve periodo un sistema di tettonica a placche, simile a quello che si riscontra sulla Terra.
“Riteniamo che quando New Horizons raggiungerà Plutone, ci mostrerà le prove di un’antica attività tettonica”, è la convinzione di Amy Barr, planetologa della Brown University e coautrice, assieme a Geoffrey Collins del Wheaton College, di uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Icarus.
L’epoca antica a cui fanno riferimento Barr e Collins si riferisce al primo miliardo di anni nella storia evolutiva del Sistema Solare. I due ricercatori hanno modellizzato il sistema Plutone-Caronte basandosi sull’idea che l’iniziale collisione tra i due corpi abbia generato abbastanza energia da fondere la parte interna di Plutone, dando origine ad un oceano. Una massa d’acqua che sarebbe rimasta in forma liquida sotto la crosta gelata per un tempo abbastanza lungo, grazie al fatto che, mano a mano che una parte dell’oceano si ricongelava, la parte ancora liquida si arricchiva di sali e ammoniaca, funzionando da anticongelante.
Da cosa sarebbe stata prodotta l’attività tettonica? I ricercatori sono partiti dall’assunto che, nell’evoluzione del sistema Plutone-Caronte, il momento angolare si debba essere conservato. Su questa base, hanno simulato un gran numero di scenari sull’ipotetica orbita di Caronte immediatamente dopo la collisione, riscontrando che in ogni scenario l’orbita della compagna di Plutone migrava progressivamente verso l’esterno, come ha fatto la Luna attorno alla Terra. Quando Plutone e Caronte si trovavano vicini, ancora “caldi” a causa della collisione, esercitavano una grande forza l’uno sull’altro, con il risultato di assumere una forma ad uovo. Ma quando poi Caronte ha cominciato ad allontanarsi, Plutone è divenuto più sferico. Durante questa trasformazione, la superficie ghiacciata deve essersi fratturata creando delle faglie, i segni distintivi dell’attività tettonica. “Nei nostri scenari osserviamo che si sono generati sulla superficie stress in quantità più che sufficiente per dare luogo a una pletora di fenomeni tettonici”, ha concluso Barr.
Non è ancora lunga l’attesa per sapere se New Horizons, che fotograferà Plutone con una risoluzione fino a 100 metri per pixel, vedrà effettivamente le antiche faglie. Secondo Jeffrey Moore, che dirige il team d’osservazione geologica e geofisica di New Horizons al centro ricerche Ames della NASA, “sarebbe sorprendente se non osservassimo attività tettonica”. Tuttavia, c’è una potenziale complicazione: il clima di Plutone. Si è scoperto anni fa, infatti, che Plutone nei momenti di massimo avvicinamento al Sole possiede un’atmosfera, che però si congela al suolo quando il pianeta nano percorre la parte più distante della sua orbita ellittica. L’intensità di questi cambiamenti regolari potrebbe essere tale da avere eroso la superficie di Plutone fino al punto di cancellare le tracce tettoniche. Moore rimane ottimista, prendendo come riferimenti altri mondi dove si verifica lo stesso fenomeno atmosferico, come Callisto, una delle lune di Giove. “Su Callisto, dove avviene la sublimazione e il deposito dell’atmosfera, possiamo comunque osservare l’effetto dei fenomeni geologici”, ha concluso Moore.
Per saperne di più:
- Il preprint dell’articolo “Tectonic Activity on Pluto After the Charon-Forming Impact” di Amy C. Barr e Geoffrey C. Collins