Una coppia di buchi neri supermassicci avviluppati dalla gravità. Confinati in un bozzolo di spazio grande appena quanto il Sistema solare: un nonnulla, in termini cosmici. E invischiati in una danza fatale che li porterà, nel giro di due miseri milioni di anni, a cannibalizzarsi a vicenda, dando origine a uno fra i più grandiosi spettacoli che il nostro universo possa mettere in scena: la fusione di due buchi neri da milioni di masse solari. Evento catastrofico in grado d’innescare la propagazione, nel mare apparentemente immobile dello spazio-tempo, d’un fronte d’onde gravitazionali senza rivali. Tale da far finalmente rollare e beccheggiare tutti gli strumenti messi in campo dagli scienziati, sulla Terra e presto anche nello spazio, per rilevare queste elusive manifestazioni della natura.
A fiutarne le tracce, il telescopio per le alte energie XMM-Newton dell’Agenzia spaziale europea. Il 10 giugno del 2010, per puro caso, muovendo lo sguardo da un obiettivo all’altro, XMM è incappato in un’emissione inattesa di raggi X. Inattesa e anomala: seguendone l’evolversi, nelle settimane successive gli astrofisici hanno registrato un lento ma progressivo calo d’intensità. Fino all’apparente sparizione, seguita da un improvviso riattizzarsi. «Esattamente il comportamento che possiamo attenderci da un paio di buchi neri supermassicci in orbita l’uno attorno all’altro», è la diagnosi di Fukun Liu, ricercatore alla Peking University di Pechino e primo autore dell’articolo che descrive la scoperta, in uscita il 10 maggio su The Astrophysical Journal. Un comportamento molto raro da osservare: occorre guardare nella direzione giusta al momento giusto. Per esempio, mentre i due buchi neri sono intenti a contendersi le spoglie di una stella, che lacerata dai morsi gravitazionali della coppia finisce per emettere un fiotto – un flare, lo chiamano gli scienziati – di raggi X.
«Un risultato importante per almeno due motivi», commenta Tomaso Belloni dell’INAF-Osservatorio astronomico di Brera. «Innanzi tutto fornisce la prima evidenza della presenza di un doppio buco nero al centro di una galassia non attiva. Inoltre, mostra come i telescopi X possano fornire informazioni fondamentali anche con i loro dati “secondari”, e spingerà ad analizzare in modo completo i database esistenti per cercare eventi di questo tipo».
Ma quanto sono diffuse, queste coppie di buchi neri al centro delle galassie?
«Il punto è proprio questo: non lo sappiamo. I pochi casi in cui si pensa ci sia una coppia di buchi neri supermassicci centrali sono tutti in galassie dove il nucleo è attivo, ovvero dove i buchi neri accrescono materia e emettono raggi X in modo molto intenso. Nella maggior parte delle galassie il nucleo non è attivo: il buco nero centrale non accresce molta materia e non sono quindi forti emettitori di raggi X. Questo è il primo caso di una galassia non attiva in cui si è trovata una evidenza della presenza di due buchi neri centrali».
Quali conseguenze può avere, questa scoperta?
«La presenza di un doppio buco nero al centro di una galassia è un’indicazione del fatto che la galassia è il risultato dell’incontro e quindi della fusione di due galassie, ciascuna con il suo buco nero centrale. Misure di questo tipo ci possono fornire una misura statistica di quante galassie sono il risultato di una fusione, e quindi aiutare a comprendere l’evoluzione dell’universo. Inoltre queste coppie di buchi neri sono destinate a fondersi in un evento che produrrà un fortissimo segnale di onde gravitazionali: quelle che ancora eludono la rivelazione e per cui si stanno costruendo telescopi sempre più sensibili. Questa particolare coppia si fonderà fra milioni di anni, ma è importante capire quante ce ne sono per stimare la probabilità di osservare una fusione».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “A milliparsec supermassive black hole binary candidate in the galaxy SDSS J120136.02+300305.5“, di F.K. Liu, Shuo Li e S. Komossa