Tra il 2000 e il 2013, 26 asteroidi, grandi abbastanza da generare una potenza di impatto almeno pari a 1 kiloton, hanno colpito la Terra o – per la maggior parte – sono esplosi nella sua atmosfera. L’onda d’urto generata dagli impatti è stata rilevata dalla Comprehensive Nuclear Test Ban Detection Network, una rete globale che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, controlla l’eventuale realizzazione di esperimenti segreti con armi nucleari. L’organizzazione ha recentemente reso pubblici i dati delle esplosioni riconducibili all’impatto di asteroidi, solo uno dei quali è stato avvistato prima della deflagrazione (la meteorite caduta in Sudan nel 2008, vedi Nature Vol. 458, pag. 401, 26 marzo 2009). Proprio basandosi su quei dati, la Fondazione B612 ha preparato un’animazione con la localizzazione delle esplosioni, presentata durante un evento in occasione della Giornata Mondiale per la Terra.
“Vogliamo modificare la percezione della gente che gli impatti da asteroide siano estremamente rari, quando in realtà non lo sono. E non c’è modo migliore che rendere visivamente i dati”, ha detto Ed Lu, ex astronauta e co-fondatore della Fondazione B612. La Fondazione ha in progetto di lanciare un telescopio spaziale privato, chiamato eloquentemente Sentinel (da non confondere con l’omonimo satellite europeo appena lanciato), interamente finanziato da donazioni filantropiche. Sentinel dovrebbe scandagliare il cielo nell’infrarosso alla ricerca di quegli asteroidi troppo piccoli (o poco luminosi) per essere visti dagli attuali sistemi di allerta terrestri, ma abbastanza grandi da rappresentare una grave minaccia per la Terra se dovessero colpire, ad esempio, un centro densamente popolato. Secondo la Fondazione B612, i dati sugli impatti recenti suffragano la necessità di nuovi strumenti di sorveglianza come Sentinel. La frequenza delle collisioni con la Terra risulta infatti 10 volte superiore a quanto previsto dai modelli con cui viene calcolato il rischio d’impatto con asteroidi o comete.
In effetti questa valutazione non è nuova, essendo comparsa in uno studio su Nature dello scorso novembre in cui venivano valutati gli effetti del meteorite che il 15 febbraio 2013 ha provocato danni e feriti nella città russa di Chelyabinsk, un corpo di una ventina di metri di diametro deflagrato con una potenza complessiva attorno ai 500 kiloton (come termine di paragone, la bomba atomica che distrusse Hirosima sviluppò una potenza di 15 kiloton). Lo studio, di cui abbiamo a suo tempo scritto su Media INAF, stimava che gli oggetti spaziali con diametro nell’ordine delle decine di metri che potrebbero potenzialmente colpire la Terra siano fino a dieci volte più comuni di quanto si ritenesse in precedenza. D’altra parte, basandosi proprio sulle evidenze desunte dall’evento di Chelyabinsk, l’analisi ha verificato che i danni causati dall’onda d’urto sono decisamente minori rispetto a quelli previsti basandosi sugli effetti delle esplosioni nucleari, il che fa rivedere al rialzo la soglia dimensionale oltre la quale un asteroide può produrre un impatto devastante.
In un’intervista a New Scientist, Peter Brown della University of Western Ontario in Canada, primo autore dello studio su Nature, ribadisce che, nonostante nello spazio attorno alla Terra ci possano essere più asteroidi potenzialmente pericolosi di quanto pensassimo, questo non significa che sia aumentato significativamente il rischio di un impatto che possa spazzare via un’intera metropoli. “Anche se avessimo un numero di asteroidi quattro o cinque volte più grande, la maggior parte cadrebbe nell’oceano”, ha detto Brown. “Posso affermare che l’aumento del rischio di impatto è sostanzialmente impercettibile”.