Cattive notizie per chi avesse il sogno nel cassetto di essere a bordo nella nave spaziale che porterà i primi pionieri alla volta di Marte e non sia però un appassionato amante delle verdure. Le ricerche, infatti, indicano che i coloni che si stabiliranno su un altro pianeta dovranno con ogni probabilità dedicarsi in una prima fase alla coltura idroponica, usando per giunta sistemi di piccole dimensioni e facilmente stoccabili, a scapito della produttività. Insalata quindi, e anche poca.
Jean Hunter, della Cornell University, è una studiosa di processi di produzione alimentare e gestione dei rifiuti per programmi di vita lontano dalla Terra e sostiene che la cosa più sensata da fare in una prima fase di coltivazioni extraterrestri sarebbe proprio piantare insalata e altri vegetali di rapida crescita. Lattuga, ravanelli, carote, pomodori e cetrioli sarebbero i primi, solo in un secondo momento i coloni potrebbero impiantare specie ricche di carboidrati, come patate, grano e riso per arrivare in un’ulteriore fase a coltivare soia e fagioli, ricchi di proteine.
L’ovvia conseguenza per i coloni sarebbe quindi una stretta, inevitabile, dieta vegana. L’ipotesi di allevare specie animali – e non si parla certo di quelle rinomate per le loro carni, ma di insetti, o altri piccoli animali come i porcellini d’india – comporterebbe infatti un aggravio enorme del carico di lavoro per i coloni. La studiosa ricorda inoltre come l’agricoltura su piccola e piccolissima scala sia notoriamente inefficiente, con il rischio che l’energia che i coloni dovranno impiegare per ottenere un raccolto sia enorme. Si rischierebbe di trasformarsi in piccoli agricoltori impegnati tutto il giorno a lavorare duramente per riuscire a produrre a stento il necessario alla sopravvivenza, tornando in qualche modo a condizioni di vita che avevano i nostri progenitori. Insomma, il gioco non vale la carota.
Ma anche nel caso in cui i coloni trovassero il modo di coltivare in modo efficiente e riuscissero a prevenire le malattie del raccolto – che altrimenti si diffonderebbero in un batter d’occhio in una coltura idroponica – dovrebbero passare almeno quattro, sei mesi prima che il raccolto possa essere pronto. Quindi i primissimi colonizzatori avranno necessariamente bisogno di portare con sé una grande scorta di generi alimentari preconfezionati. È qui che entra in campo il ruolo della ricerca nelle più avanzate tecnologie alimentari a dare una mano agli scienziati spaziali. C’è bisogno di sviluppare prodotti in grado di mantenersi per periodi di tempo che possano arrivare a cinque e più anni. Al momento quelli che si mantengono più a lungo arrivano a malapena alla metà di questo tempo, ma pare che le ultime scoperte – come la sterilizzazione a microonde e le lavorazioni ad alta pressione – possano aumentare considerevolmente la vita degli alimenti.
Quali saranno , dunque, i cibi che i coloni porteranno con sé? Un esperimento condotto proprio per determinare le preferenze alimentari del possibile equipaggio spaziale presso lo Space Exploration Analog and Simulation della NASA alle Hawaii, concluso lo scorso agosto, ha portato ad ulteriori interessanti osservazioni. L’equipaggio ha simulato di trovarsi in una colonia su Marte ed ha vissuto così per 120 giorni. La colonia era fornita sia di cibi preconfezionati che di ingredienti base utili a preparare i pasti ed è emerso con chiarezza che il cibo preconfezionato, sebbene più saporito, stancava i partecipanti molto più rapidamente rispetto a quello che si riuscivano a preparare. La partecipazione al processo di preparazione rendeva il cibo in qualche modo più interessante. In un’ottica di lungo periodo, come quella di un colonizzatore di Marte, riuscire a cucinare sarebbe senz’altro un buon modo per rendere la vita di bordo o della colonia meno noiosa. È noto che la convivialità aiuta a vivere meglio, anche sulla Terra. A quando Masterchef Marte?