L’ATMOSFERA IN LABORATORIO

Così nasce una nuvola

Uno studio appena pubblicato su Science spiega per la prima volta i meccanismi alla base dei primissimi stadi di formazione delle nubi. I commenti di alcuni ricercatori coinvolti provenienti da Svizzera, Finlandia, Gran Bretagna e Italia

     19/05/2014
Crediti: Wikimedia Commons

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Come si formano le nuvole? Quando inizia l’età dei perché, ecco una delle prime domande della lista. Se lo chiedono i bambini, e continuano a chiederselo gli scienziati: oggi molte risposte sulla composizione e i processi di formazione delle nubi sono arrivate, ma tante ancora ne mancano.

Per esempio, non è chiaro fino a che punto questi ammassi condensati di vapore acqueo influenzino il clima sul nostro pianeta. Un quesito fondamentale per la meteorologia, ma anche per la fisica particellare e la chimica atmosferica. Ed è stato proprio un gruppo di fisici e chimici a trovare la risposta: uno studio guidato dai ricercatori del Paul Scherrer Institute (PSI) in Svizzera ha scoperto la chiave per spiegare il legame tra nuvole e cambiamenti climatici.

I risultati, ottenuti grazie all’esperimento CLOUD (Cosmics Leaving OUtdoor Droplets) del CERN di Ginevra, sono stati pubblicati venerdì su Science. Cinque pagine che spiegano com’è stato possibile riprodurre in laboratorio un fenomeno prima mai osservato artificialmente: il primissimo stadio di formazione delle nuvole.

L'esperimento Cosmics Leaving Outdoor Droplets (CLOUD). Crediti: CERN

L’esperimento Cosmics Leaving Outdoor Droplets (CLOUD). Crediti: CERN

Sappiamo con certezza che le goccioline delle nubi si formano quando il vapore nell’atmosfera si condensa. Ma il processo non inizia qui: per avviarlo, serve la mano del cosiddetto nucleo di condensazione, ovvero le particelle liquide o solide a cui il vapore deve “attaccarsi” prima ancora che nascano le gocce di vapore che daranno origine alla nuvola.

Bene, era proprio questo nucleo di condensazione a costituire il punto interrogativo per gli scienziati: le sue particelle si formano infatti a partire da pochissime molecole, molto difficili da identificare in laboratorio. Fino a oggi: con la camera di CLOUD i ricercatori del PSI sono stati in grado di riprodurre in maniera realistica l’ambiente atmosferico.  Nuclei di condensazione compresi.

“La prima cosa da fare è stata pulire la camera nel miglior modo possibile” ha detto a Media INAF Urs Baltensperger, capo del Laboratorio di Chimica Atmosferica al PSI e leader dello studio.  “Infatti qualunque contaminazione può portare a risultati errati di un fattore 1000. Dopo aver creato un ambiente pulito, abbiamo aggiunto in maniera controllata gli ingredienti di cui avevamo bisogno: abbiamo copiato da Madre Natura”.

A questo punto, non restava altro che osservare. E quello che i ricercatori hanno notato è stato un legame strettissimo tra la formazione dei nuclei di condensazione e la presenza di due ingredienti in particolare: acido solforico e molecole organiche ossidate (ovvero molecole che hanno subito una perdita di elettroni).

L’esperimento Cosmics Leaving Outdoor Droplets (CLOUD) in funzione. Crediti: CERN

L’esperimento Cosmics Leaving Outdoor Droplets (CLOUD) in funzione. Crediti: CERN

“Per la prima volta abbiamo osservato inequivocabilmente questa connessione” spiega Baltensperger. “Le molecole organiche ossidate (le stesse di cui sentiamo il profumo nelle foreste) sono legate direttamente alle molecole di acido solforico. Tale legame forma dei cluster che evaporano più lentamente di quelli formati solo da acido solforico: per questo fanno in tempo a dare origine a molte più particelle – con una velocità di formazione di circa 10.000 volte superiore”.

Ecco quindi da dove hanno origine i “semi” delle nuvole: la miscela di acido solforico e molecole ossidate è responsabile dei primi embrioni delle particelle che andranno a formare le nubi: i famosi nuclei di condensazione.

Si parla di ordini di grandezza decisamente piccoli: “Per noi una particella ha una dimensione tra 1.5 nm e  100 micrometri, definizione molto diversa da quella che si usa in astrofisica” precisa Baltensperger.

Ma è proprio a partire da questi processi microscopici che hanno origine fenomeni di grande impatto per il pianeta. La formazione delle nuvole è uno di questi: cruciale è la loro influenza sul clima, che dipende proprio dal processo scoperto dai ricercatori del PSI. E non è un caso che uno degli ingredienti fondamentali sia la stessa molecola sprigionata nelle foreste.

“Il nostro esperimento ha mostrato che la concentrazione di acido solforico nell’atmosfera dà origine alle particelle delle nuvole, quando sono presenti anche alcuni composti organici ossidati. Questi composti sono di origine biologica, proprio come quelli emessi da molti alberi” dice Siegfried Schobesberger, fisico dell’Università di Helsinki e co-autore dello studio. “Questo conferma il ruolo fondamentale delle emissioni delle foreste nella formazione delle particelle atmosferiche, e quindi nel primissimo stadio della formazione delle nuvole”.

Francesco Riccobono, Arnaud Praplan e Federico Bianchi del PSI (da sinistra a destra) durante la discussione dei risultati dell'esperimento CLOUD. Crediti: CERN

Francesco Riccobono, Arnaud Praplan e Federico Bianchi del PSI (da sinistra a destra) durante la discussione dei risultati dell’esperimento CLOUD. Crediti: CERN

La scoperta fatta con CLOUD è stata poi testata grazie allo sviluppo di modelli teorici. Ce lo spiega Catherine Scott della School of Earth and Environment dell’Università di Leeds: “Il nostro ruolo nel progetto è stato sviluppare simulazioni informatiche usando una riproduzione virtuale dell’atmosfera terrestre”.

Si tratta di un modello teorico che simula la formazione delle particelle nell’atmosfera, così come il loro comportamento.

“Abbiamo integrato in questo modello i risultati ottenuti dal laboratorio del CERN, che ci hanno permesso di simulare alcune caratteristiche stagionali (ad esempio la presenza di più particelle in estate e meno in inverno)” continua Scott. “Questo è un passo importante verso la comprensione dei meccanismi naturali che influenzano il clima terrestre”.

Prossimi passi? Estendere il raggio di azione di CLOUD, e scrutare altre zone dell’atmosfera.

“Al momento CLOUD ha cercato di spiegare la formazione di nuove particelle nello strato inferiore dell’atmosfera, perché è qui che sono state effettuate più osservazioni” spiega Federico Bianchi, chimico e co-autore dell’articolo. “Sarebbe interessante in futuro confrontare CLOUD anche con le osservazioni effettuate nella alta troposfera”.

Federico Bianchi, dottorando al Paul Scherrer Institute, ha contribuito allo studio analizzando la composizione chimica delle particelle responsabili della formazione delle nuvole. Non è l’unico italiano coinvolto: la prima firma dell’articolo di Science è del fisico Francesco Riccobono, che ha lavorato sull’esperimento CLOUD dal 2009 e attualmente sta facendo un postdoc al Joint Research Centre della Commissione Europea.

“Quando mi sono laureato in Fisica all’Università degli Studi di Milano, mai avrei pensato di compiere degli esperimenti di fisica dell’atmosfera al CERN al fianco di amici e colleghi che cercavano il bosone di Higgs o l’antimateria” racconta  Riccobono. “In questo senso, CLOUD rappresenta un unicum tra tutti gli esperimenti di fisica dell’atmosfera e permette di ottenere risultati irraggiungibili fuori dal CERN”.

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