I quasar sono divoratori di materia voracissimi, e non sembra esservi un limite al loro … appetito. In generale, più materia cade sul buco nero più il quasar è luminoso. Tuttavia questo è vero sino ad un certo punto: se il flusso di materia che cade sul buco diventa troppo troppo grande, la luminosità tende a saturare ad un valore limite, determinato dalla massa del buco nero. Il quasar non “digerisce” più l’ eccesso di cibo, e la materia cade nel buco nero emettendo poca luce. In altre parole, il rapporto massa luminosità tende verso un valore costante. Ed anche i parametri misurati nelle bande ottica, ultravioletta e de raggi X convergono verso valori approssimativamente costanti.
In questo contesto negli ultimi vent’anni sono stati fatti notevoli progressi. Abbiamo imparato a riconoscere sottili differenze nelle proprietà osservate dei quasar, e ad organizzare queste differenze secondo uno schema che indica il rapporto tra la luminosità del quasar e la massa del buco nero che, per molti aspetti, sembra ricoprire la stessa importanza che la massa ha nell’interpretazione dello spettro della radiazione emessa dalle stelle. Abbiamo imparato anche a riconoscere i quasar più “mangioni”, quelli che emettono la massima luminosità per una data massa del buco nero: sono tra i quasar più luminosi, facilmente riconoscibili a distanze cosmiche enormi, ma possono anche essere oggetti locali, meno luminosi se la massa del buco nero è piccola. Un apporto importante è stato fornito dallo schema noto come 4D Eigenvector 1, proposto all’inizio degli anni 2000 da Jack Sulentic (allora all’ Università dell’ Alabama) e collaboratori.
Le sorgenti che accrescono più materia, e per cui il rapporto tra la massa del buco nero e la luminosità sembra convergere ad un valore limite, rendono possibile risalire alla luminosità, se la massa del buco nero può essere dedotta da proprietà intrinseche. Molto recentemente, nel corso dell’ultimo anno, alcuni gruppi di ricerca hanno cercato di definire un indicatore di distanza basato proprio sul collegamento tra alcuni parametri osservati e la massa del buco nero. Tra questi, alcune proprietà dello spettro ottico ed UV che possono essere facilmente misurate negli spettri di quasar in un ampio intervallo di redshift (da 0 sino a 4) sembrano fornire un criterio di selezione promettente, secondo uno studio accettato per la pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society di Paola Marziani, astronoma dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, e Jack Sulentic, professore emerito all’Università dell’ Alabama, ora all’Instituto de Astrofisica de Andalucia (IAA) in Spagna e visiting professor al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’ Università di Padova.
Anche se la luminosità dedotta per i quasar è meno precisa di quella ottenuta dalle supernovae di tipo Ia, le sorgenti che divorano materia ad un tasso estremo — i “quasar più quasar” che esistano, si è tentati di dire — hanno il vantaggio di essere relativamente frequenti (qualche percento di tutti i quasar) e facilmente riconoscibili da proprietà deducibili con osservazioni nelle bande del visibile e dell’ultravioletto tra i 300.000 quasar noti, individuabili anche ad epoche cosmiche remotissime, appena un miliardo di anni dopo il Big Bang.
L’ analisi preliminare di Marziani e Sulentic mostra che indicazioni sulla densità di materia cosmica possano essere ottenute proprio sfruttando i “grandi numeri” che per i quasar sono facilmente raggiungibili anche a distanze dove le supernovae di tipo Ia non sono rilevate perché troppo deboli. Ciò offre un vantaggio non indifferente: le supernovae di tipo Ia hanno permesso di studiare la geometria dell’ Universo dove l’ effetto della costante cosmologica ha prodotto un’ espansione accelerata, ma non di misurare accuratamente la densità di materia che ha decelerato l’ espansione per la maggior parte dell’ età dell’ Universo.
È troppo presto per dire quello che si potrà effettivamente ottenere sulla geometria e sull’ espansione dell’ Universo, anche se le prospettive sembrano promettenti. E la possibilità di scrivere delle equazioni che permettono di derivare la luminosità di un quasar dalle sue proprietà intrinseche, senza nessuna misura di flusso o di redshift e in accordo con la luminosità calcolata convenzionalmente dalla magnitudine apparente e dal redshift anche a distanze relativamente elevate, ha un fascino tutto suo ed un significato concettuale da non sottovalutare: in fondo, ci dice, almeno che quello che sappiamo sui quasar sembra essere fondamentalmente corretto.
Per saperne di più:
- l’articolo Highly Accreting Quasars: Sample Definition and Possible Cosmological Implications di Paola Marziani e Jack Sulentic accettato per la pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society
- la news su Media INAF Quasar, un enigma lungo mezzo secolo con intervista audio a Paola Marziani