È il Giano bifronte delle particelle elementari. Materia e antimateria al tempo stesso, l’elusivo neutrino di Majorana – se mai esiste – tiene in scacco generazioni di ricercatori dal lontano 1937. Ovvero, da quando l’altrettanto elusivo genio della fisica che lo concepì, Ettore Majorana, giusto un anno prima di sparire misteriosamente di scena, diede alle stampe il celebre articolo sulla “Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone”. Articolo nel quale, in un italiano asciutto ed elegante, s’ipotizzava l’esistenza di particelle che fossero anche le proprie antiparticelle. Di queste particelle – note come “fermioni di Majorana”, in opposizione ai “fermioni di Dirac” – non s’è mai trovata traccia.
Ma la caccia continua incessante da oltre 70 anni. Proprio sull’ultimo numero di Nature sono usciti i risultati dei primi due anni dell’esperimento EXO-200. E se ancora non c’è segno del fermione di Majorana, quanto meno il cerchio si stringe. Analizzando i dati raccolti grazie ai 110 chili di xenon allo stato liquido – quattro quinti dei quali di isotopo xenon-136, un arricchimento ottenuto tramite centrifughe russe – che costituiscono il cuore dell’esperimento, situato in New Mexico a 650 metri di profondità, i ricercatori sono riusciti ad assegnare con grande precisione una nuova soglia minima al tempo di dimezzamento per il “doppio decadimento beta senza neutrini“: misurato in anni, è almeno 1.1 per 10 elevato alla 25. Tanto per farsi un’idea, si tratta di un’attesa pari a circa un milione di miliardi di anni quella che è l’età dell’universo.
Attesa per cosa? E che c’entra quel che avviene nello xenon con i fermioni di Majorana? Facciamo un passo indietro, anzi due, tornando alle particelle di materia e alla loro controparte: l’antimateria. Di solito, per descrivere le particelle di antimateria, si dice che hanno la stessa massa di quelle di materia ma carica elettrica di segno opposto. Per particelle come il protone o l’elettrone, che hanno carica elettrica non nulla, una tale descrizione è abbastanza intuitiva: il positrone (o antielettrone), per esempio, ha massa e spin identici a quelli dell’elettrone, ma carica elettrica positiva.
E le particelle con carica elettrica nulla, come per esempio il neutrone? Di primo acchito si potrebbe pensare che la corrispondente particella d’antimateria – l’antineutrone – sia da esso indistinguibile. In realtà, andando a scomporlo nei suoi mattoncini fondamentali (un quark up e due quark down), ci si accorge che la differenza è netta, essendo l’antineutrone formato da un antiquark up e due antiquark down.
Ma come la mettiamo con le particelle con carica elettrica nulla e non ulteriormente divisibili, in quanto già particelle elementari? In cosa sarebbero diverse dalle loro antiparticelle? È appunto il caso dei neutrini: se Majorana aveva ragione, fra neutrino e antineutrino non ci dovrebbe essere alcuna differenza. E per i fisici, a parte il fatto che toccherebbe loro aggiornare il modello standard, sarebbe un bel colpaccio: come per incanto tanti tasselli andrebbero al loro posto, a partire dall’enigma circa la scarsità d’antimateria nel nostro universo.
Già, ma come provare che Majorana poteva averci visto giusto? È qui che entra in gioco il “doppio decadimento beta senza neutrini” al quale accennavamo poc’anzi. Il doppio decadimento beta “normale” (2νββ), quello con i neutrini, è un raro processo di decadimento radioattivo caratterizzato dal verificarsi simultaneo di due decadimenti beta ordinari: per esempio, all’interno di un nucleo, due neutroni diventano due protoni, con conseguente emissione di due elettroni e due antineutrini. Ma cosa accadrebbe se, come voleva Majorana, antineutrino e neutrino fossero la stessa particella? Ecco che i due antineutrini si annichilirebbero l’un l’altro, e l’emissione consisterebbe soltanto nei due elettroni: per l’appunto, un doppio decadimento beta senza neutrini (0νββ).
Ebbene, per quanto complicato da descrivere, il doppio decadimento beta senza neutrini ha l’impagabile vantaggio di essere un processo osservabile: se mai avviene, possiamo accorgercene. Come? Per esempio, appunto, analizzando i dati provenienti dagli scintillatori immersi nei 110 chili di xenon liquido dell’esperimento EXO-200. Vabbè, ma in conclusione: si vede o non si vede? Proprio qui sta il punto più ambiguo: gli ultimi risultati dell’esperimento, rispetto a quelli precedenti, che si basavano su circa un quarto dei dati attuali, mostrano qualche evento in più. Dove per ‘evento’ i fisici intendono qualcosa che ancora non si capisce se è dovuto al rumore di fondo o è un vero segnale.
Insomma, quello che al momento si può dire è che l’esperimento EXO-200 pare funzionare a meraviglia, che non ha trovato prove statisticamente significative a favore dei neutrini di Majorana ma nemmeno è in grado di escluderne l’esistenza. E questo significa che la caccia può continuare.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Search for Majorana neutrinos with the first two years of EXO-200 data“, della EXO-200 Collaboration