Se il blazer (dall’inglese to blaze, “brillare”) è un capo di abbigliamento ibrido, intermedio tra la giacca e il cardigan, anche il blazar (blazing quasi-stellar object) risulta, come oggetto astrofisico, un po’ spurio. La definizione è nata per identificare un particolare sottoinsieme di quelli che gli specialisti chiamano AGN, nuclei galattici attivi, le più luminose tra le fonti persistenti di radiazione elettromagnetica nell’universo. L’energia che viene liberata dagli AGN è generata dalla materia gassosa che, cadendo ad anello verso il buco nero supermassiccio al centro della galassia, si accalca a tal punto da originare tutta una serie di fenomeni estremamente energetici, tra cui due imponenti getti collimati di particelle, emessi in opposte direzioni a velocità prossime a quelle della luce.
I blazar rappresentano il tipo più energetico di galassie attive ed emettono in tutta la gamma dello spettro elettromagnetico, dal radio ai raggi gamma. Si ritiene che i blazar appaiano così intensi perché la direzione dei loro getti coincide, o quasi, con la nostra linea di vista. In pratica, è come se avessimo un faro puntato negli occhi. Oppure, se si preferisce, come se si guardasse direttamente verso la canna di un fucile che spara proiettili relativistici. Gli astrofisici hanno individuato due tipi principali di blazar. Uno, a cui alcuni fanno riferimento come flat-spectrum radio quasar (FSRQ), caratterizzato da forte emissione proveniente dall’anello di accrescimento attorno al buco nero, nonché luminosità più alte, masse dei buchi neri più piccole e minore accelerazione delle particelle nei getti rispetto al secondo tipo, gli oggetti di tipo BL Lacertae (BL Lacs), totalmente dominati dall’emissione del getto, dove le particelle raggiungono energie maggiori rispetto agli FSRQ.
Un gruppo di astronomi guidati da Marco Ajello, astrofisico della Clemson University in South Carolina, ha voluto verificare come la distribuzione dei blazar sia cambiata nel corso della storia cosmica. Per arrivare a questo traguardo, il team ha determinato, grazie a lunghe campagne osservative con telescopi terrestri, l’esatta distanza di un campione di circa 200 BL Lacs a suo tempo individuati dal Large Area Telescope del satellite Fermi. “La debole emissione dal disco dei BL Lacs rende estrememente difficile misurare il loro redshift, lo spostamento spettrale verso il rosso, e quindi stabilire la loro distanza da noi”, ha sottolineato Dario Gasparrini dell’ASI Science Data Center di Roma e assegnista INAF, che ha partecipato alla ricerca. Il campione di BL Lacs, il più vasto e completo mai ottenuto, è stato poi confrontato con un altrettanto nutrito gruppo dell’altra classe di blazar, gli FSRQ.
I risultati della ricerca, pubblicati a inizio anno su The Astrophysical Journal, suggeriscono che, a partire da circa 5,6 miliardi di anni fa, gli FSRQ cominciarono a declinare, mentre i BL Lacs hanno visto un costante aumento nel numero. L’aumento è particolarmente evidente tra i BL Lacs con le energie più estreme (high-synchrotron-peaked blazars), basati su un particolare tipo di emissione. Tutto questo fa supporre agli scienziati che si tratti dello stesso tipo di oggetto che si evolve o, per meglio dire, che modifica progressivamente il modo di estrarre energia dal buco nero centrale.
Le grandi galassie sono inizialmente cresciute grazie a frequenti collisioni e fusioni con altre galassie più piccole, un processo che le rifornisce in continuazione di nuovo gas, molto del quale può concentrarsi in un ampio, caldo e brillante disco di accrescimento attorno al buco nero centrale, proprio come quelli osservati negli FSRQ. Una parte di questo gas cade nel buco nero e gradualmente ne incrementa le dimensioni, mentre il resto viene espulso nello spasmodico meccanismo di accrescimento, andando ad alimentare i potenti getti. Mano a mano che l’universo si espande e la densità delle galassie decresce, diventano meno frequenti gli incontri occasionali tra galassie e quindi la possibilità di approvvigionarsi di gas “fresco”. Il disco di accrescimento progressivamente si esaurisce, ma quel poco che ne rimane orbita attorno a un buco nero che è molto più massiccio e ruota molto più velocemente. Queste caratteristiche permettono ai blazar di tipo BL Lac di mantenere un getto particolarmente vigoroso, nonostante l’esiguità della riserva di gas che lo alimenta.
Per riassumere, si potrebbe dire che nei blazar il buco nero funziona in qualche modo da “batteria”: accumula energia allo stadio di FSRQ, crescendo di dimensioni e velocità di rotazione, per poi rilasciarla mano a mano che il gas si esaurisce, consentendo ai blazar di tipo BL Lac di mantenere il loro energetico getto. “Possiamo pensare a una delle due classi di blazar come a un auto che beve molto carburante, all’altra come a un veicolo elettrico altamente efficiente”, ha commentato Marco Ajello. “In realtà, i nostri risultati suggeriscono che ci troviamo di fronte più che altro a ibridi, che amministrano l’energia dei loro buchi neri in modi diversi mano a mano che invecchiano”.
Per saperne di più:
- il preprint dell’articolo “The Cosmic Evolution of Fermi BL Lacertae Objects” di M. Ajello, R. W. Romani, D. Gasparrini, M. S. Shaw, J. Bolmer, G. Cotter, J. Finke, J. Greiner, S. E. Healey, O. King, W. Max-Moerbeck, P. F. Michelson, W. J. Potter, A. Rau, A. C. S. Readhead, J. L. Richards, P. Schady