È come scavare per anni nei cunicoli bui di una miniera per poi trovare un tesoro di pietre preziose. È questo quello che ha scoperto un gruppo di astronomi guidati da Hakim Atek: grazie al telescopio orbitante di NASA/ESA Hubble i ricercatori hanno rilevato che le drammatiche esplosioni nelle galassie nane hanno svolto un ruolo più importante del previsto nei primi anni di storia dell’Universo. Come è noto ci sono migliaia e migliaia di galassie che sono ancora altamente attive, ma la maggior parte delle stelle che possiamo osservare nel cielo notturno si sono formate tra i 2 e i 6 miliardi di anni dopo il Big Bang. Studiare questa fase iniziale dell’evoluzione dell’Universo è la chiave per comprendere a pieno come le galassie siano cresciute ed evolute.
In questo recente studio è stato utilizzata la Wide Field Camera 3 (WFC3) montata su Hubble che ha permesso agli astronomi di fare un grande passo avanti nello studio del ruolo che hanno avuto le galassie nane in quell’era. In particolare è stato analizzato un circoscritto campione di galassie starburst, che producono stelle a un ritmo forsennato, di gran lunga superiore rispetto a galassie “normali”. Studi precedenti si erano focalizzati nell’analisi di galassie di masse sicuramente più considerevoli, lasciando dietro l’innumerevole quantità di galassie nane che già esistevano nelle prime fasi dell’Universo. In passato, però, non è stato semplice studiarle, anzi è stato impossibile. Quello che si poteva fare con le strumentazioni esistenti qualche anno fa era osservare piccole galassie molto vicine a noi o grandi galassie anche molto lontane dal nostro Sistema solare.
Ma questo era il passato. Con Hubble, l’altissima sensibilità dei suoi obiettivi e la sua modalità spettrografo è stato possibile, negli anni, portare a casa dati importanti soprattutto sulla formazione stellare a distanza molto elevate. “Avevamo già sospettato che le galassie nane starburst avessero contribuito alla precoce ondata di formazione stellare, ma questa è la prima volta che siamo stati in grado di misurare l’effetto che in realtà hanno avuto”, ha detto Atek, dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL ) in Svizzera e autore della ricerca. “Queste galassie sembrano aver avuto un ruolo sorprendentemente significativo durante l’epoca in cui l’Universo ha formato la maggior parte delle sue stelle”. I ricercatori hanno anche detto che queste galassie “lavorano” a un ritmo talmente alto che possono raddoppiare la quantità di stelle in “soli” 150 milioni di anni, mentre una galassia normale impiegherebbe circa 1-3 miliardi di anni.
Per saperne di più:
Leggi qui l’articolo pubblicato su The Astrophysical Journal