È ancora una versione di prova quella della capsula NASA Orion Deep Space, ma non si può dire che non abbia superato brillantemente il test che più preoccupava i suoi progettisti, in vista del lancio inaugurale sull’Exploration Flight Test-1 in calendario per i primi di dicembre 2014. La simulazione di discesa è stata condotta agganciando Orion a un C-17, il grande aereo cargo, che l’ha sollevata a una quota di poco superiore ai 10.000 metri sul cielo dello Yuma Proving Ground dell’esercito statunitense, sopra le pianure del deserto dell’Arizona. Il test è stato ‘zavorrato’ con una serie di stress artificiali proprio per verificare le capacità dei paracadute di compensare guasti e inconvenienti, evitando complicazioni per l’equipaggio di astronauti che ospiterà durante future missioni.
Gli ingegneri hanno di fatto truccato uno dei paracadute principali perché saltasse una delle tre fasi di apertura. “Simulare un guasto al sistema di caduta della capsula, e nella fattispecie saltando le fasi intermedie di apertura di uno dei paracadute, ci aiuta a verificare quanto la macchina sia robusta e sappia tollerare un eventuale guasto tecnico”, sottolinea la NASA nel comunicato stampa.
L’obiettivo è dimostrare come il sistema sia in grado di frenare la caduta libera della capsula e garantire, domani, una velocità di atterraggio sicura per l’equipaggio di ritorno da missioni nello spazio profondo, si tratti di Luna, asteroidi o, persino, Marte. I tecnici hanno voluto incrementare le sollecitazioni sui paracadute, lasciando che la versione test di Orion cadesse nel vuoto per dieci secondi – cosa che ha contribuito ad aumentare la velocità della capsula e la pressione aerodinamica.
Non si scherza insomma: a dicembre l’Exploration Flight Test-1 solleverà Orion a un’altezza orbitale di circa 5.800 chilometri, e la capsula NASA si troverà a una quota 15 volte superiore a quella della Stazione Spaziale Internazionale. Uno degli obiettivi primari di questo attesissimo test di Natale sarà quello di mettere alla prova del fuoco l’efficacia dello scudo termico. È fondamentale garantire la protezione del veicolo alle temperature da incubo – oltre 2000°C – che la capsula può raggiungere nel viaggio di rientro. Per non parlare della folle velocità a cui attraverserà l’atmosfera terrestre: qualcosa come 32.000 chilometri orari.
Insomma: per Orion le cose si mettono bene, ma c’è ancora molto da fare. Alla NASA lo sanno bene e non a caso il lavoro continua su più fronti. Proprio in questi giorni il Low Density Supersonic Decelerator, cugino di Orion e che rientra a pieno titolo nella lista di veicoli candidati alle rotte marziane, ha fallito la prova di volo.
L’enorme anello rinforzato di kevlar, lo stesso materiale con cui vengono fabbricati i giubbotti anti proiettile, gonfiato durante la fase di atterraggio per ridurre la velocità supersonica della navicella in caduta, non è bastato ad attutire l’impatto con l’oceano, nel corso di una simulazione al Pacific Missile Range Facility della Marina militare, nell’isola di Kauai. Il gigantesco paracadute – il doppio di quello usato per la discesa di Curiosity su Marte – non si è aperto correttamente.
Fino a ieri l’agenzia spaziale statunitense ha vissuto sull’eredità tecnologica del Viking, che dagli anni Settanta ha però raggiunto un suo limite. Se non si trovano alternative, niente di più grande di 1 tonnellata potrà mai atterrare sul Pianeta Rosso. Compresa una eventuale missione umana, che si stima possa tranquillamente arrivare a un peso complessivo di 40 tonnellate.