Dai quasar alle galassie attuali, dall’origine dell’Universo ai giorni nostri, i buchi neri sono prim’attori sulla scena del Cosmo. Ancora non ci è ben chiaro come si formino all’inizio dei tempi, ma il loro ruolo di innesco e di controllo della formazione stellare nelle galassie sembra ormai assodato, supportato da osservazioni convincenti.
Qui non stiamo parlando dei buchi neri di taglia stellare, prodotti a seguito dell’esplosione di supernovae, ma di quelli, milioni o miliardi di volte più massicci, che si trovano annidati nel centro delle galassie, molto attivi nel lontano passato e generalmente quiescenti nell’Universo attuale. Così tranquilli e riservati ai nostri giorni, che non saremmo riusciti a rivelarne la presenza se non fosse stata suggerita da considerazioni teoriche e infine provata dall’eccellente potere risolutivo del Telescopio Spaziale “Hubble”.
L’aspetto più intrigante dei buchi neri supermassicci è che la loro storia evolutiva risulta strettamente connessa con quella delle galassie che li ospitano. L’idea si è fatta strada negli ultimi quindici anni ed è basata sulla stretta relazione di proporzionalità tra la massa del buco nero centrale e quella dello sferoide che lo contiene, se la galassia è una spirale, oppure dell’intera galassia, se questa è ellittica. Oltre ai dati osservativi, che si sono accumulati numerosi, ci sono i modelli teorici implementati sui supercomputer a convincerci che il buco nero centrale si accresce di materia a seguito degli stessi episodi (soprattutto la fusione di galassie) che innescano anche la formazione stellare e quindi che i due processi procedono di pari passo: tanto più gas va a cadere nel buco nero, incrementandone la massa, tanto più altro gas, nel resto della galassia, collassa generando nuove stelle, col risultato che le masse delle due componenti – il buco nero e le stelle – mantengono nel tempo un rapporto pressoché costante.
Il libro di Alessandro Marconi, docente all’Università di Firenze e specialista nel campo, insiste particolarmente su questi processi che rappresentano l’argomento di punta dell’attuale ricerca sui buchi neri di taglia galattica. Gli ultimi capitoli trattano diffusamente la questione, mentre i primi introducono il lettore alla conoscenza dei buchi neri come oggetti astrofisici: ne fanno la storia della scoperta e ne trattano le fenomenologie tipiche, anche con un certo dettaglio. Per esempio, si accenna alla relatività generale e si parla di buchi neri rotanti, un argomento che viene generalmente scansato nei testi divulgativi.
Il libro esce nella collana “Farsi un’idea” della Società editrice il Mulino. Ebbene, chi non si accontenterà di darne una scorsa veloce, ma farà il giusto sforzo che il testo richiede per seguire le argomentazioni dell’autore, ben più che semplicemente “farsi un’idea” potrà invece maturare una buona conoscenza del comportamento dei buchi neri e del loro ruolo nell’evoluzione delle galassie, tanto più che l’autore ha felicemente scelto di appoggiare i ragionamenti su numeri e formule (poche queste ultime, ma essenziali, alla portata dello studente di liceo).
Numeri e formule sono decisivi per aiutare nella comprensione, ma – ahimé – confondono se sbagliati: a questo proposito, si devono segnalare alcune sviste e refusi da correggere in una seconda edizione del volumetto. A pag. 47, in una formula è saltato il simbolo ε (“epsilon”); a pag. 76, si legga 1025 al posto di 1,025; alle pag. 93 e 94 al posto di 10^3 (mille) si legga 10^-3 (un millesimo).
Da Alessandro Marconi riceviamo e volentieri pubblichiamo:
“Nella trasformazione del manoscritto dal formato latex al formato utilizzato dall’editore per l’impaginazione, le formule sono state riscritte manualmente e questo ha comportato l’inevitabile introduzione di errori e imprecisioni. La maggior parte di questi sono stati corretti in fase di lettura delle bozze ma, ahimè, alcuni mi sono sfuggiti (pochissimi per fortuna!) come l’epsilon mancante e 10^3 invece di 10^-3. Invece 1,025 al posto di 1025 è figlio del fatto che negli articoli scientifici usiamo la notazione americana in cui la virgola è il separatore delle migliaia e il punto è il separatore dei decimali, esattamente l’opposto di quello che avviene in Italia.”