Manca qualcosa nell’Universo. Nel “bilancio” cosmico – come evidenzia uno studio recentemente pubblicato su The Astrophysical Journal Letters – sembrano proprio non tornare i conti, le osservazioni mostrano un enorme ammanco di luce ultravioletta.
Le vaste aree di spazio vuoto tra le galassie sono unite da filamenti di idrogeno e elio, che possono essere utilizzate come misuratore per la luce. È partendo da questo assunto che il team di autori dello studio, formato da scienziati provenienti da diverse università statunitensi e guidati da Juna Kollmeier del Carnegie Institution for Science, ha eseguito le osservazioni sull’emissione di luce ultravioletta di popolazioni note di galassie e quasar scoprendo che essa non è lontanamente sufficiente a giustificare l’osservazione dell’idrogeno intergalattico. La differenza osservata sarebbe addirittura del 400%.
Per rendere l’idea figurata delle conclusioni raggiunte dallo studio è come se ci si trovasse in una grande stanza luminosa, ma guardandosi intorno si vedesse che a illuminarla è una piccola lampadina da 40 watt. Ma da dove proviene allora tutta questa luce? I dati non aiutano. Insomma sembra un ossimoro ma “c’è qualcosa che manca”.
Stranamente questa discrepanza può essere osservata solamente nelle parti più vicine dell’universo, quelle relativamente meglio conosciute. Quando invece il focus delle osservazioni cambia spostando i telescopi su galassie lontane miliardi di anni luce (e quindi osservando l’universo miliardi di anni fa) tutto sembra quadrare.
La luce in questione è formata da fotoni ultravioletti altamente energetici capaci di trasformare gli atomi di idrogeno elettricamente neutri in ioni elettricamente carichi. Le due fonti note di fotoni ionizzanti sono i quasar – alimentati dai gas bollenti che precipitano nei buchi neri supermassicci con una massa pari a milioni di volte quella del Sole – e le giovani stelle più calde. Le osservazioni hanno mostrato che i fotoni ionizzanti emessi dalle giovani stelle sono nella maggior parte dei casi assorbiti dai gas presenti nella galassia che li ospita, quindi non hanno la possibilità di interagire con l’idrogeno intergalattico.
Ma il numero di quasar ad oggi noti è comunque molto lontano da quello che sarebbe necessario per spiegare la produzione di luce ultravioletta esistente. Questo fenomeno è stato ribattezzato “crisi da sottoproduzione di fotoni”. Ma ad essere in crisi non sono certo i fotoni, sono gli astronomi. Quindi una possibile ipotesi, quella che senz’altro stimola di più gli scienziati, è che possa esistere una grande fonte di fotoni ionizzanti mai individuata, e che essa non sia né sotto forma di galassie né di quasar.
La discrepanza è emersa comparando le osservazioni effettuate dal Cosmic Origins Spectrograph del telescopio spaziale Hubble con simulazioni fatte da supercomputer sui gas intergalattici. Le simulazioni corrispondono perfettamente alle osservazioni dell’universo lontano, mentre per le osservazioni più vicine nello spazio-tempo i dati corrispondono solo se si dà per assunto che questa luce “extra” è presente. Certo è possibile che le simulazioni non corrispondano poi alla realtà, ma quello che confonde gli scienziati è proprio questo, perché esse riguardano l’idrogeno intergalattico, quindi la componente di universo di cui pensavano di avere una comprensione maggiore e più esatta.
Insomma, all’attuale stadio delle ricerche l’unica certezza è che c’è qualcosa di sbagliato. Un 400% di discrepanza è indizio che l’errore o la mancanza non è da poco e che, anche se non sappiamo ancora cosa, almeno una delle proprietà che oggi pensiamo sia vera sull’universo sicuramente non lo è.