A scoprirla è stata una coppia di astronomi australiani, Stefan Keller e Mike Bessell. Ma per ricostruirne le remote origini, per capire dove e come s’è formata, ci voleva un chimico computazionale nato a Novara, cresciuto in Calabria, formatosi alla Sapienza e ora ricercatore postdoc in Germania, all’università di Gottinga. Lei, oggetto dell’indagine, è la stella più vecchia di tutta la galassia: una vegliarda con 13.6 miliardi di anni sul groppone. Lui invece, lo scienziato, si chiama Stefano Bovino, e insieme a tre colleghi – fra i quali un altro italiano, Tommaso Grassi, ricercatore postdoc in Danimarca – ha ricreato nei dettagli, con un supercomputer, l’habitat primordiale dal quale la “stella Matusalemme” ha avuto origine. Quindi ha premuto il tasto “play” e s’è messo a osservare che succedeva. I risultati sono ora pubblicati su The Astrophysical Journal Letters.
La “stella di Keller” – così la chiamano gli astronomi per comodità, visto che il nome vero sarebbe SMSS J031300.36-670839.3 – è una cosiddetta “stella di seconda generazione”: nata dunque dalle ceneri delle prime stelle apparse nell’universo. Ceneri contenenti elementi pesanti, come carbonio, silicio, ossigeno e ferro. I primi elementi pesanti mai apparsi nel cosmo, sintetizzati dalle primissime supernove.
Grazie a Krome, a un tool sviluppato dagli stessi Bovino e Grassi in grado di risolvere l’evoluzione chimica e termica del gas, i ricercatori sono riusciti a simulare l’ambiente chimico successivo alla prima generazione di stelle – parliamo di appena 150 milioni di anni dopo il Big Bang – ad alta risoluzione, e a seguirne l’evoluzione per diverse concentrazioni di elementi pesanti. Così da poter valutare quali fossero le migliori candidate per spiegare l’esistenza di stelle come quella di Keller, e ripercorrere la transizione fra prima e seconda generazione.
«In un ambiente primordiale, dove gli unici gas presenti sono idrogeno ed elio», spiega Bovino, «a permettere il raffreddamento della nube che collassa è principalmente l’idrogeno molecolare. E questo può portare a temperature del gas nell’ordine del 200 Kelvin, dunque le masse stimate per le prime generazioni di stelle vanno dalle 10 alle 500 masse solari. Stelle assai massive, e con vita talmente breve che sarebbe impossibile osservarle oggi. Quelle di seconda generazione, invece, essendosi formate con gas contenente anche elementi pesanti – che siano carbonio, ferro o silicio – possono raffreddarsi di più. Questo perché le transizioni elettroniche dei metalli riescono a raffreddare maggiormente il gas. E raffreddando di più il gas, il collasso può procedere ulteriormente, aumentando la frammentazione e dando così origine a stelle di piccola massa».
Stelle di piccola massa come, appunto, quella di Keller, i cui elementi pesanti ebbero per fucina una supernova originata da una stella di prima generazione da circa 60 masse solari.
Per saperne di più:
- Leggi su ApJ l’articolo “Formation of carbon-enhanced metal-poor stars in the presence of far ultraviolet radiation“, di S. Bovino, T. Grassi, D. R. G. Schleicher e M. A. Latif
- Leggi su Nature lo studio sulla scoperta della stella più vecchia, “A single low-energy, iron-poor supernova as the source of metals in the star SMSS J031300.362670839.3“, di S. C. Keller et al.
- Vai al sito di Krome, il pacchetto sviluppato da Tommaso Grassi e Stefano Bovino
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