Pensate al posto più caldo, arido e inospitale della Terra. Fatto? Qualsiasi deserto sul nostro pianeta non sarà mai tanto torrido e invivibile come l’atmosfera di uno qualsiasi dei tanti gioviani caldi che popolano l’Universo. Recentemente un gruppo di astronomi è riuscito a realizzare i rilevamenti più precisi finora sul tasso di vapore acqueo nell’atmosfera dei pianeti gioviani caldi trovandoli molto più “secchi” e aridi di quanto i modelli avessero previsto, tra dieci e mille volte di meno.
Cos’è un gioviano caldo? Si tratta di un pianeta extrasolare dalla massa simile o superiore a quella di Giove, che orbita intorno alla propria stella madre ad una distanza a volte di gran lunga inferiore a quella di Mercurio. Basti pensare che Giove orbita a circa 5 UA dal Sole, mentre tipicamente i gioviani caldi si trovano tra 0,5 UA e 0,015 UA dalla stella. Solo questo dato basterebbe per immaginare le temperature a cui possono arrivare questi pianeti.
Il modello dell’accrescimento del nucleo (core accretion model) spiega come si formino i giganti gassosi a partire da dischi relativamente poco massicci di gas idrogeno e polveri intorno a una stella. In un periodo pari o superiore a un milione di anni, le particelle di polvere si uniscono formando grani sempre più grandi, poi i planetesimi che alla fine si fondono in un pianeta. Allo stesso tempo, la gravità del pianeta attira un’atmosfera di gas dal disco. La teoria prevede che l’elemento più abbondante del pianeta sia l’ossigeno, che può assumere la forma di vapore acqueo nell’atmosfera. I livelli molto bassi di vapore acqueo scoperto dai ricercatori sollevano nuovi interrogativi circa la nostra comprensione dei processi chimici coinvolti nella formazione dei pianeti.
Nicolas Crouzet, del Dunlap Institute for Astronomy & Astrophysics (presso l’Università di Toronto) ha detto: “i bassi livelli di vapore acqueo sono sorprendenti. I nostri modelli predicevano una presenza più abbondante di vapore acqueo e quindi questi risultati cambiano totalmente quello che abbiamo sempre saputo sulla formazione di questi pianeti”.
“Misure analoghe erano state già fatte in precedenza, la novità di questo studio è data dal risultato ottenuto dal confronto tra i dati osservati e i modelli interpretativi. Questi risultati indicano che la quantità di acqua misurata è meno di quanto ci si aspetti in base alla teoria. In realtà le misure sono relativamente stringenti per solo uno dei tre pianeti oggetto dello studio, mentre per gli altri due l’incertezza della misura è tale da non permettere di trarre conclusioni definitive”, ha spiegato a Media INAF Isabella Pagano, ricercatrice presso l’Osservatorio Astrofisico INAF di Catania e coordinatrice INAF sia della missione CHEOPS che di PLATO.
“La scarsa abbondanza di acqua, rispetto a quanto atteso, è in linea con la scarsità di altri elementi, quali il sodio – ha aggiunto la Pagano -. Ciò potrebbe essere dovuto alla presenza di nubi e/o foschia, che attenuano la radiazione dalle regioni sottostanti. Se questo fosse vero, come suggerito da più autori, allora la scarsità di questi elementi sarebbe solo fittizia e non ci sarebbero implicazioni dirette sui modelli di formazione. Se invece il risultato di scarsità di acqua fosse confermato da nuove indagini e per un campione più ampio di oggetti, bisognerà cercare di capire meglio le condizioni in cui questi pianeti si formano, perché, per esempio, la scarsità di acqua potrebbe essere consistente con la formazione in un ambiente in cui vi sia una percentuale maggiore del carbonio, rispetto all’ossigeno, di quanto previsto”.
Nikku Madhusudhan, primo autore dello studio pubblicato su Astrophysical Journal Letters, ritiene che: “questi pianeti molto caldi e con grandi atmosfere sono i migliori candidati possibili per misurare i livelli di acqua e ossigeno. Eppure i livelli che abbiamo trovato sono molto inferiori al previsto. Questo dimostra quanto potrebbe essere difficile effettuare simili rilevazioni su altri pianeti extrasolari cercando, eventualmente, tracce di vita”.
Utilizzando il telescopio spaziale Hubble, il team ha analizzato gli spettri all’infrarosso di tre pianeti extrasolari tra i 60 e i 900 anni luce di distanza, identificati come HD 189733b, HD 209458b, e WASP-12b. I pianeti extrasolari hanno temperature medie tra 900 e 2200 ° C – non proprio ospitali. Il telescopio spaziale Hubble non osserva direttamente i pianeti, bensì raccoglie la luce dalla stella madre che attraversa l’atmosfera quando il pianeta orbita davanti ad essa. Le analisi spettroscopiche di questa luce hanno permesso agli astronomi di misurare la presenza di vapore acqueo.
“Si tratta di pianeti gassosi, come Giove, ma molto caldi perché vicino alla propria stella – ha concluso la ricercatrice dell’Inaf -. Per loro natura non sono quindi pianeti dove l’acqua possa trovarsi allo stato liquido, quindi non ci aspettiamo che siano abitabili indipendentemente da quanto vapore acqueo contenga la loro atmosfera”.