Ricordate le fontane di lava che nel 2010 zampillarono copiose dal vulcano Eyjafjöll in Islanda? Ora provate a immaginare un’eruzione diecimila volte più potente, un fenomeno così intenso da essere ben visibile… da un altro pianeta. Proprio quello che è successo sulla luna di Giove Io, dove è stata osservata lo scorso anno con telescopi terrestri una sequenza ravvicinata di esplosioni magmatiche, tra cui una delle più brillanti eruzioni mai riscontrate nel Sistema Solare. Le straordinarie immagini, riprese principalmente con il telescopio internazionale Gemini Nord alle Hawaii, sono state ora rese pubbliche in due studi in corso di pubblicazione sulla rivista Icarus.
Gli astronomi hanno ripreso ben tre gigantesche eruzioni in un periodo di due settimane tra agosto e settembre del 2013. Una frequenza sorprendente, anche per questa palla rovente grande pressappoco quanto la nostra Luna che, a causa dello stress gravitazionale esercitato da Giove, risulta essere il corpo vulcanicamente più attivo conosciuto. Tra il 1978 e il 2006 sono state registrate, infatti, solo 13 eruzioni giganti. “Tipicamente, ci aspettiamo una grossa eruzione ogni uno o due anni, e generalmente non sono così brillanti”, ha confermato Imke de Pater della University of California a Berkeley (UCB), leader di uno dei nuovi studi. “Qui abbiamo ben tre esplosioni estremamente brillanti, il che ci suggerisce che se osservassimo più spesso Io potremmo vederne molte di più”.
Io, la più interna tra le lune scoperte da Galileo, è l’unico altro posto conosciuto nel Sistema solare, oltre la Terra, con vulcani da cui fuoriesce lava estremamente calda. Grazie alla sua bassa gravità, le grandi eruzioni producono un ombrello di detriti che s’innalza parecchio al di sopra della superficie, contribuendo a spargere un’enorme quantità di lava in un ristretto lasso di tempo. “Questi nuovi eventi sono ascrivibili a una classe relativamente rara di eruzioni, a causa della loro grande dimensione e dell’emissione termica sorprendentemente alta”, ha spiegato Ashley Davies, vulcanologo del Jet Propulsion Laboratory della NASA e coautore dello studio. “La quantità di energia emessa da queste eruzioni implica fontane di lava sgorganti con ingenti volumi, dando origine a colate di lava che rapidamente si spargono sulla superficie di Io”.
Due delle mega eruzioni sono avvenute il 15 agosto, mentre la terza, quella più potente, il 29 agosto del 2013. Per studiare le esplosioni, gli scienziati hanno utilizzato una varietà di telescopi dell’Osservatorio del Mauna Kea, compresi i grandi Keck II e Gemini Nord, nonché l’Infrared Telescope Facility della NASA da tre metri. “Le osservazioni del Gemini rappresentano la miglior copertura giorno per giorno di un’eruzione di questo tipo”, ha detto Katherine de Kleer, astronoma dell’UCB e prima autrice dell’altro studio. Questo ha permesso al team di ricerca di sorvegliare l’evoluzione di un’attività vulcanica estrema nell’arco di due settimane dal suo inizio, fornendo una nuova e accurata prospettiva su eventi esplosivi di questo genere. Lo studio condotto da de Kleer ha determinato che l’energia emessa nella terza eruzione, la maggiore, è stata di circa 20 Terawatt, espellendo diversi chilometri cubi di lava in gigantesche fontane scaturite da lunghe fessurazioni sulla superficie di Io. La temperatura a cui si è svolta l’eruzione sarebbe molto superiore a quella riscontrabile in un’eruzione terrestre odierna, un fatto che de Kleer ritiene “indicativo di una composizione del magma come sulla Terra si è avuta solo durante il periodo della sua formazione”.
Ecco che, piuttosto che riportarci ai travagli tettonici terrestri odierni, le eruzioni di Io possono dunque figurarci quell’antichissima stagione in cui prendevano forma i pianeti più interni del sistema solare, come le giovani Venere e Terra. “Stiamo usando Io come un laboratorio vulcanologico, dove possiamo guardare indietro nel passato dei pianeti di tipo terrestre per avere una migliore comprensione di come queste grandi eruzioni siano avvenute, di quanto veloci erano e di quanto duravano”, ha aggiunto ancora Davies. “Questo ci aiuterà a capire i processi che hanno contribuito a delineare le superfici dei pianeti di tipo terrestre, incluse Terra e Luna”.