Guardatela bene, quest’ombra qui a fianco: quella che s’intravede nel buio è la sagoma di 1950 DA, un asteroide con un diametro medio di circa 1,3 km. Un Near Earth Object, come gli scienziati chiamano i corpi del Sistema solare la cui orbita può potenzialmente portarli a intersecare quella della Terra. Evento che, nel caso di 1950 DA, è in calendario fra oltre otto secoli, nel marzo del 2880, quando con una probabilità su circa ventimila si schianterà contro il nostro pianeta. Vabbe’, direte, otto secoli sono un’eternità: se anche la probabilità d’impatto dovesse aumentare, per allora avremo certo trovato un modo per disintegrarlo, no? Ma è proprio questo il problema: 1950 DA potrebbe essere sin troppo facile da disintegrare. C’è il rischio che sia sufficiente un colpetto per mandarlo in frantumi. Ma non dovrebbe essere un vantaggio, questo? Dipende: se non ne sappiamo prevedere il comportamento, non è detto che una moltitudine di frammenti incontrollabili sia preferibile a un singolo bolide, anzi.
Insomma, la conoscenza approfondita di oggetti come 1950 DA potrebbe rivelarsi preziosa. Oggetti, dicevamo, troppo facili da disintegrare. Cosa significa? È presto detto: 1950 DA si regge a fatica. Perché in realtà non è propriamente un corpo solido, bensì un ammasso di polvere e detriti in rotazione talmente veloce che non si spiega come possa stare insieme. O meglio, non lo si può spiegare ricorrendo alla sola forza di gravità. Tenendo conto delle sue dimensioni, della sua inerzia termica e della sua densità, inferite dagli astronomi analizzandone l’orbita e i dati in infrarosso raccolti dal satellite WISE della NASA, tre astrofisici dell’Università del Tennessee (USA) hanno calcolato che il suo periodo di rotazione (pari a 2,1216 ore) è inferiore alla soglia critica (stimata attorno alle 2,2 ore) al di sotto della quale l’asteroide dovrebbe comportarsi grosso modo come una lavatrice in centrifuga senza più il cestello, spargendo polvere e detriti tutt’attorno. Per dire: se un astronauta si trovasse a passeggiare lungo la linea dell’equatore dell’asteroide, senza un opportuno sistema d’ancoraggio verrebbe fiondato nello spazio.
E allora come fa a esistere? La risposta, dice lo studio pubblicato sull’ultimo numero di Nature dai tre scienziati americani, sta nelle forze di van der Waals: un fenomeno che agisce a livello atomico o molecolare con l’effetto di rendere coese le particelle coinvolte. Una forza molto tenue, è vero, ma sufficiente a dar “presa” al regolite lunare, per esempio. O addirittura a tenere aggrappati i gechi su pareti verticali senza il benché minimo appiglio, come s’è scoperto da pochi anni e com’è stato confermato anche recentemente, giusto martedì scorso, in un articolo uscito sul Journal of Applied Physics.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Cohesive forces prevent the rotational breakup of rubble-pile asteroid (29075) 1950 DA”, di Ben Rozitis, Eric MacLennan e Joshua P. Emery