Le tempeste di particelle generate dalle eruzioni solari sono fenomeni spettacolari da guardare…sì ma da lontano, al riparo sul nostro pianeta. In realtà la Terra non è poi così al sicuro dalle attività che si verificano sul nostro Sole: le particelle trasportate dai venti solari molto vicino al nostro pianeta possono perfino, nei casi più estremi, mandare in tilt le reti elettriche, bloccare le infrastrutture da esse dipendenti e danneggiare le comunicazioni satellitari. Di recente un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan (Stati Uniti) è andato a scavare negli archivi del Goddard Space Flight Center della NASA per raccogliere alcuni dati su una particolare eruzione di massa coronale (CME), cioè quella risalente al 20/21 gennaio del 2005. Questa fu solo l’ultima di 5 forti eruzioni: il 20 gennaio materiale espulso dal Sole si diresse a una velocità impressionante verso la Terra, generando il giorno seguente una delle più importanti emissioni di protoni solari mai monitorate dagli esperti. La tempesta, nonostante la sua imponenza, interagì debolmente con i campi magnetici attorno alla Terra e venne registrato qualche disturbo alle reti elettriche a terra e solo lievi cambiamenti nello spazio attorno al nostro pianeta.
A riportare sotto la luce dei riflettori questa importante CME è stata Janet Kozyra, la quale si è interrogata sulla particolarità di questa tempesta allo stesso tempo forte e debole e ha ritenuto che meritasse un ulteriore esame. Studiare un evento insolito come questo può aiutare i ricercatori a capire cosa potranno causare le future CME nei dintorni della Terra. “All’epoca vennero registrati fenomeni che si verificano solo in casi estremi nello spazio”, ha detto Kozyra. “Abbiamo voluto guardare in modo olistico, proprio come i meteorologi fanno col meteo sul Terra in caso di eventi estremi. Abbiamo preso tutti i dati che siamo riusciti a trovare sulla tempesta solare e li abbiamo uniti per vedere cosa stava succedendo”.
Il gruppo di lavoro, che ha pubblicato lo studio su Journal of Geophysical Research, Space Physics, ha elaborato dati raccolti da reti di telescopi a terra e da 20 satelliti differenti. Cosa hanno scoperto? L’eruzione di massa coronale conteneva un freddo e denso filamento di materiale solare, che a una velocità insolitamente elevata ha portato una grande quantità di materiale solare fino in prossimità della Terra. Il campo magnetico del nostro pianeta ha ammorbidito il colpo, smorzando così gli effetti della tempesta solare. I dati che hanno permesso di ricostruire la dinamica e le proprietà dell’evento provengono da sonde spaziali in orbita nella ionosfera della Terra, che si estende fino a oltre 960 chilometri sopra la superficie del pianeta, e da satelliti in orbita nella magnetosfera, cioè il cuore dell’ambiente magnetico che circonda la Terra. I dati sono stati poi elaborati da esperti in meteorologia spaziale che hanno creato diversi modelli con i quali sono riusciti a riscrivere la storia di questa particolare tempesta, iniziata il 20 gennaio 2005 e le cui primissime immagini della CME associata sono state prese dal Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), missione congiunta ESA/NASA. Di solito le eruzioni di massa coronale appaiono come delle gigantesche bolle magnetiche circondate da materiale solare. Questa particolare CME del gennaio 2005, invece, presentò un denso filamento di plasma solare. Questi filamenti sono 100 volte più densi e 100 volte più freddi rispetto l’atmosfera circostante. È raro che queste strutture raggiungano la Terra, ma in quel caso non è stato così.
Osservazioni successive della stessa eruzione mostrarono la sua velocità, i cui picchi arrivarono anche a 2900 chilometri al secondo rallentando a quasi 1000 chilometri al secondo in prossimità della Terra. Il particolare filamento di plasma venne accelerato in avanti, oltre il bordo della CME, e quando ha impattato contro la magnetosfera ha rilasciato una dose aggiuntiva di particelle energetiche nello spazio in prossimità della Terra. Le conseguenze di questo evento vennero osservare dai satelliti in orbita, tra cui IMAGE della NASA, FAST e TIMER, e Geotail oltre a Cluster di NASA/ESA, Double Star-1 dell’ESA e della Cina. Gli altri veicoli spaziali coinvolti si trovavano a un milione e mezzo di chilometri, vicino al Sole: tra questi SOHO, l’Advanced Composition Explorer della NASA e molti altri. In quel periodo Cluster era nel vento solare direttamente a monte della Terra. Nel frattempo, Double Star-1 stava passando dalla regione esterna del campo magnetico del nostro pianeta ed era prossimo ad entrare nella magnetosfera. Ciò ha permesso di osservare l’ingresso del materiale trasportato dal filamento solare nello spazio vicino alla Terra.
Nonostante l’intensa quantità di plasma espulso dalla superficie solare, gli effetti finali nel nostro ambiente non sono stati per fortuna così drammatici, grazie all’orientamento del campo magnetico trasportato nella CME, che è risultato essere orientato prevalentemente verso il polo nord della Terra. In questa configurazione, la nostra difesa agli ‘attacchi’ del Sole offerta dalla magnetosfera è molto efficiente. “Questo particolare evento con la sua insolita combinazione di effetti nello spazio interplanetario e nell’ambiente terrestre dimostra il motivo per cui è importante monitorare l’intero fenomeno e non solo i suoi singoli parametri”, ha detto Kozyra. “Solo utilizzando tutti questi dati e osservando l’evento dall’inizio alla fine possiamo cominciare a comprendere tutte le diverse sfaccettature di un evento estremo come questo”.