Era da tempo che gli scienziati la stavano osservando e studiando, ma quella intensa sorgente celeste di raggi gamma continuava a mantenere un segreto fondamentale: quale fosse il ‘motore’ che alimenta il flusso di radiazione di alta energia che arriva fino a noi. Ora però, grazie ai dati raccolti dall’osservatorio spaziale NuSTAR abbiamo la risposta a questo interrogativo: il responsabile è una stella di neutroni in rapida rotazione, quel che rimane di una stella massiccia che, alla fine del suo ciclo evolutivo, è esplosa come una supernova.
A scoprire dapprima questa sorgente è stato lo High Energy Stereoscopic System (HESS), un osservatorio per le sorgenti cosmiche di raggi gamma che si trova nel deserto della Namibia, in Africa. HESS J1640-465 – questa la sigla dell’oggetto celeste – è stata subito associata ad un resto di supernova che si trova vicino ad essa ma, per caratterizzarlo meglio è stato monitorato da vari telescopi orbitanti per l’astrofisica delle alte energie: dapprima INTEGRAL dell’ESA e poi da Chandra della NASA e XMM-Newton, sempre dell’Agenzia Spaziale Europea. Ognuno di essi si era avvicinato ad individuare la soluzione: in particolare i dati raccolti da Chandra e XMM indicavano sempre con maggiore accuratezza che la sorgente della radiazione di alta energia fosse una pulsar, ma la presenza di nubi di gas ad oscurarla aveva ancora lasciato un margine di incertezza. Incertezza finalmente spazzata via con la recente entrata in funzione di NuSTAR, in grado di captare radiazione X più energetica dei suoi ‘colleghi’, che riesce ad attraversare quelle nubi. L’analisi di questi segnali, condotta da un team di ricercatori guidati da Eric Gotthelf della Columbia University negli Stati Uniti, ha dunque confermato la loro origine in una pulsar, ribattezzata PSR J1640-4631, che ruota al ritmo di cinque volte al secondo e rallenta il suo vorticoso moto impiegando ogni anno circa 30 microsecondi (milionesimi di secondo) in più per completare un giro attorno al proprio asse.
«Le pulsar sono tra gli oggetti più misteriosi dell’Universo, e talvolta si nascondono all’interno di “nuvole” cosmiche generate dall’esplosione di stelle massicce, i cosiddetti “resti di supernovae”» spiega Lorenzo Natalucci, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma e membro del team scientifico di NuSTAR.«Le pulsar sono stelle molto compatte (hanno un raggio di circa 10-20 km) e sono ciò che rimane – il “relitto” – della stella esplosa. Esse possiedono potenti campi magnetici che riescono ad accelerare le particelle sulla loro superficie fino a velocità incredibili, vicine a quella della luce. La loro energia si propaga attraverso il guscio generato dall’esplosione e gli shock che così si producono possono generare copiosa emissione di raggi gamma. La conoscenza delle proprietà delle pulsar all’interno di questi gusci di supernova è molto importante per studiare i modelli fisici di emissione di radiazione dei gusci di supernova e studiare la loro evoluzione»
«Il telescopio a terra HESS, sensibile alla radiazione gamma di alta energia ha rivelato più di 80 siti di emissione di radiazione gamma e molte di queste sono state associate con esplosioni di supernova, ma senza una evidenza chiara di quale sia l’origine dell’emissione gamma o della presenza di pulsar al loro interno» prosegue Natalucci. «Scovare una pulsar all’interno di questi gusci è però possibile, usando strumenti che “vedono” all’interno, come i telescopi a raggi X. Le pulsar ruotano su se stesse, a volte molto velocemente, e possono produrre radiazione X pulsata, cioè modulata su un periodo corrispondente alla frequenza di rotazione. NuSTAR, sensibile ai raggi X con un’energia fino a 8 volte superiore a quella vista da Chandra e XMM-Newton, e quindi molto penetranti, è riuscito nell’impresa di identificare in modo dettagliato l’emissione della pulsar in HESS J1640-465, rivelandosi ancora una volta uno strumento potentissimo per rivelare queste sorgenti».
Per saperne di più:
- l’articolo NuSTAR discovery of a young, energetic pulsar associated with the luminous gamma-ray source Hess J1640−465 di E. V. Gotthelf et al. pubblicato online sul sito web della rivista The Astrophysical Journal