Le correnti di Birkeland devono il loro nome allo scienziato ed esploratore norvegese Kristian Birkeland che nei primi anni del secolo per primo azzeccò la spiegazione di come si producono le aurore polari, ipotizzando che la causa del fenomeno fosse da attribuire alla interazione tra particelle cariche emesse dal Sole ed il campo magnetico terrestre. Oggi sappiamo che quando il vento solare impatta a velocità supersonica con il campo magnetico terrestre si verifica una potente connessione elettrica che genera una corrente dell’intensità anche di milioni di ampere, il cui flusso guida il divampare multicolore delle aurore polari. Inizialmente osteggiata, la teoria di Birkeland venne confermata molto tempo dopo la sua morte e quindi a lui intitolate queste particolari correnti elettriche, allineate al campo magnetico terrestre, che collegano la ionosfera alla magnetosfera e incanalano l’energia del vento solare verso la parte più alta dell’atmosfera terrestre. A volte, tempeste solari di particolare intensità possono rilasciare raffiche più intense di vento solare, che causano correnti di Birkeland molto forti, a loro volta potenzialmente in grado di sovraccaricare le reti elettriche in determinate zone del globo terrestre, nonché di interferire con le comunicazioni e la navigazione aerea.
Si capisce, dunque, l’interesse di misurare con precisione e in maniera continua le correnti di Birkeland. Cosa che gli scienziati ora riescono a fare con uno strumento davvero particolare, lo Active Magnetosphere and Planetary Electrodynamics Response Experiment (o, in breve, AMPERE), basato sulla costellazione di 66 satelliti Iridium, il noto servizio di telecomunicazione satellitare globale. Analizzando i dati raccolti da AMPERE per capire come la Terra “risponda” all’insorgenza del vento solare, un gruppo di ricercatori statunitensi e australiani ha scoperto che questa risposta il nostro pianeta la fornisce in due fasi distinte.
In uno studio pubblicato su Geophysical Research Letters, gli scienziati spiegano che le correnti prima compaiono nelle regioni polari dell’emisfero diurno, dove rimangono costanti per circa mezz’ora. Poi inizia la seconda fase, quando forti correnti insorgono nell’emisfero notturno, correnti che alla fine si uniscono a quelle iniziali nel lato verso il Sole. Un fatto particolarmente rilevante è che la maggior parte dell’energia del vento solare è depositata nell’atmosfera polare da processi avviati nella seconda fase. Gli autori concludono il loro studio domandandosi come la discontinuità di questo paso doble – il ritardo tra la prima e la seconda fase – possa costituire un efficace sistema di allerta a breve termine sul verificarsi di imminenti sconvolgimenti meteorologici spaziali. Sarebbe un altro contributo per prepararsi alla super tempesta solare che, un giorno o l’altro, potrebbe mettere alla prova le nervature elettriche ed elettroniche sulla Terra.
Referenze:
Development of large-scale Birkeland currents determined from the Active Magnetosphere and Planetary Electrodynamics Response Experiment, di B. J. Anderson1, H. Korth, C. L. Waters, D. L. Green, V. G. Merkin, R. J. Barnes e L. P. Dyrud, Geophysical Research Letters