La vita di coppia, si sa, è fatta di alti e bassi. Anche le stelle – quelle che compongono i sistemi binari -sembrano seguire spesso questi comportamenti, che manifestano con una serie di fenomeni a volte assai eclatanti. Fenomeni che noi stiamo imparando a comprendere e interpretare grazie all’analisi delle loro emissioni, praticamente in tutte le bande della radiazione elettromagnetica.
Le novae – da non confondere con le supernovae – rappresentano una di queste categorie di sorgenti celesti variabili, che vedono improvvisamente aumentare la loro luminosità per qualche giorno, per poi affievolirsi. L’impennata di luminosità che noi registriamo altro non è che l’effetto di una immane esplosione nucleare prodotta in sistemi composti da una nana bianca (quel che rimane di una stella di massa comparabile a quella del Sole, che alla fine del suo ciclo evolutivo ha perso il suo strato esterno di gas) e un’altra stella, spesso una gigante rossa. Il meccanismo che innesca questo gigantesco flash è ormai abbastanza chiaro: la nana bianca con la sua forza di attrazione gravitazionale riversa parte del gas della stella compagna (essenzialmente idrogeno) sulla sua superficie. Questo accumulo prosegue fino a che lo strato depositato non raggiunge temperature e pressioni tali da innescare i processi di fusione nucleare dell’idrogeno. Il rilascio dell’energia in questa fase è rapidissimo: spazza via il resto del gas sulla nana bianca e si manifesta con un intenso bagliore che tende poi a spegnersi nel corso di alcune ore, a volte qualche giorno.
Gli astronomi ritenevano che la radiazione emessa dalle novae, pur notevole, non arrivasse fino alle energie dei raggi gamma. Questa ipotesi è stata sorprendentemente smentita dalle osservazioni del satellite della NASA Fermi, che per alcuni di questi oggetti ha registrato un inatteso flusso di radiazione gamma in concomitanza del loro massimo di luminosità nella banda della luce visibile. Uno di questi oggetti celesti è V 959 Mon. La nova si è ‘accesa’ nel giugno del 2012 a circa 6.500 anni luce da noi, in direzione della costellazione dell’Unicorno. La sua insolita emissione anche in alta energia ha mobilitato vari gruppi di ricerca per indagare in dettaglio i meccanismi che potevano aver generato una simile emissione. Laura Chomiuk, della Michigan State University insieme al suo team ha integrato le informazioni su V 959 Mon con le riprese dei migliori radiotelescopi, che si sono rivelate determinanti per ricostruire il probabile scenario che ha portato all’evento di nova. “Abbiamo scoperto non solo da dove emergono i raggi gamma, ma abbiamo anche una visione senza precedenti di cosa è successo, che probabilmente ciò che si verifica per altre esplosioni di novae” dice la ricercatrice.
I primi dati sull’evento, raccolti dal Karl Jansky Very Large Array (VLA) indicavano che le onde radio provenienti dalla nova probabilmente sono state prodotte nell’interazione di campi magnetici con particelle elementari in movimento a velocità prossime a quella della luce. E questo è stato per gli astronomi il primo indizio che iniziava a rivelare l’origine dell’emissione di raggi gamma ad alta energia.
Osservazioni successive di V 959 Mon condotte con il Very Long Baseline Array (VLBA) e la rete europea VLBI hanno poi rivelato la presenza di due strutture – chiamate nodi – in allontanamento l’una dall’altra dalla regione della sorgente. Queste dettagliatissime riprese, abbinate ad ulteriori misure condotte dallo strumento e-MERLIN nel Regno Unito, e rafforzate da nuove riprese con il VLA compiute quest’anno, ha fornito informazioni decisive per gli scienziati, che spiegano così come sono stati prodotti i raggi gamma di quella nova. Inizialmente la nana bianca e la sua compagna hanno trasferito parte della loro energia di rotazione a una frazione del materiale espulso durante l’esplosione, accelerandolo lungo il piano delle loro orbite. Successivamente, la nana bianca ha prodotto un flusso di particelle veloci in allontanamento lungo i poli del piano orbitale. Quando questo velocissimo getto di particelle ha raggiunto e impattato il materiale precedentemente emesso, l’onda d’urto prodotta ha accelerato le particelle ad un’energia sufficiente per produrre raggi gamma e i nodi osservati nelle onde radio.
“L’aver osservato questo sistema nel corso del tempo ci ha dato la possibilità di seguire i cambiamenti dei profili delle sue emissioni radio – cosa che ci ha permesso di tracciare i movimenti dei nodi – e ci fornisce una visione chiara di ciò che è avvenuto” aggiunge Laura Chomiuk.
I processi osservati nell’evoluzione di questa nova potrebbero essere gli stessi che governano sorgenti simili. Il fatto che finora siano state rivelate solo poche novae ad emissione gamma potrebbe essere legato a un problema di distanza. V 959 Mon è infatti piuttosto vicina a noi.
Per Luigina Feretti, direttore dell’INAF-IRA «questo lavoro dimostra ancora una volta la grande importanza del VLBI. Grazie all’altissimo potere di risoluzione raggiunto nelle onde radio con questa tecnica è stato possibile far luce sull’origine dell’emissione gamma nelle novae. La struttura del materiale rapidamente emesso è stata osservata con grande dettaglio e sono stati rivelati shock interni che forniscono energia alle particelle relativistiche. Questo è un fenomeno simile a quanto succede nei resti di supernovae e in oggetti extragalattici».
Tra gli addetti ai lavori c’è grande interesse per questi risultati, che verranno pubblicati in un articolo nel prossimo numero della rivista Nature. Alcuni di loro, quelli che stanno seguendo in questi giorni il 12° EVN Symposium a Cagliari, potranno conoscerli direttamente da Yun Yang, un ricercatore che ha partecipato allo studio e che terrà una presentazione sull’argomento proprio domani.