Un team di astrofisici provenienti da università australiane ha effettuato una nuova misura della materia oscura presente nella nostra galassia, la Via Lattea, trovando più o meno la metà di questa sostanza misteriosa rispetto a quanto si riteneva. La ricerca, pubblicata su Astrophysical Journal, è stato guidata da Prajwal Raj Kafle, un fisico teorico nepalese (astrofisico “per caso” come si definisce lui stesso) che ha recentemente conseguito il dottorato all’Università di Sydney proprio calcolando la massa della Via Lattea attraverso lo studio del movimento delle stelle. Ora all’International Centre for Radio Astronomy Research (ICRAR), a Perth, Kafle ha raffinato i precedenti calcoli fatti assieme ai suoi supervisori determinando che il peso della materia oscura nella nostra galassia è 800 miliardi (0,8 x 1012) di volte la massa del Sole. Un valore che si colloca quasi all’estremo inferiore tra quelli ritenuti plausibili, che arrivano anche alle 3 x 1012 masse solari.
“La formazione ed evoluzione delle galassie è uno dei maggiori enigmi dell’astrofisica”, dice Kafle. “Il nostro approccio a questo mistero è basato sulle osservazioni della Via Lattea come esemplare tipico di una galassia a spirale”. La nostra galassia, spiega il giovane ricercatore, è circondata da un tenue involucro di stelle chiamato alone stellare. Il movimento delle stelle presenti nell’alone non può essere dovuto solo alla componente luminosa della nostra galassia, la materia “normale”, ma deve esserci un altro tipo di sostanza invisibile che chiamiamo materia oscura e che, con i suoi effetti pervasivi, domina l’evoluzione della struttura dell’Universo. “Finora non vi è stata alcuna rilevazione diretta di materia oscura,” aggiunge Kafle. “Tuttavia, se non la sua natura, almeno la sua dislocazione e la sua massa possono essere dedotta dall’influenza gravitazionale sul movimento delle stelle”.
A livello globale, la materia “normale” contribuisce con un misero 5% a dar sostanza all’Universo, mentre la famigerata dark matter ne costituisce più di un quarto, come misurato recentemente dalla missione Planck. Per determinare la massa della materia oscura nella Via Lattea, i ricercatori hanno studiato la posizione e la velocità di un campione significativo di stelle, osservate fino ai margini estremi della nostra galassia e catalogate nella Sloan Extension for Galactic Understanding and Exploration. Al campione, il più esteso mai utilizzato per questo tipo di indagine, Kafle ha applicato una tecnica di calcolo sviluppata nel 1915 dall’astronomo inglese James Jeans, un approccio matematico ben collaudato ma che richiede la rilevazione di stelle dell’alone molto distanti.
Questa nuova misura risolve in gran parte una questione che imbarazza gli astrofisici da una quindicina d’anni. Secondo la teoria attualmente più accreditata fra gli scienziati, il modello Lambda-CDM (dove CDM sta per cold dark matter), la Via Lattea dovrebbe essere attorniata da una moltitudine di piccole galassie satelliti, al contrario di quello che osserviamo. “Se inseriamo il valore della massa di materia oscura da noi misurato, il modello ci dice che là fuori dovrebbero esistere soltanto tre galassie satellite. Che sono esattamente quelle che vediamo: la Piccola e la Grande Nube di Magellano e la galassia nana ellittica del Sagittario”, esulta Kafle.
Lo studio ha anche presentato un modello olistico della Via Lattea, che ha permesso agli scienziati di determinare alcuni aspetti interessanti, come la velocità richiesta per lasciare la galassia. “Un razzo lanciato dalla Terra deve raggiungere gli 11 chilometri al secondo per poterne lasciare la superficie. Ma siate pronti a sfrecciare a 550 chilometri al secondo, se volete sfuggire alle grinfie gravitazionali della nostra galassia”, conclude Kafle.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo ‘On the Shoulders of Giants: Properties of the Stellar Halo and the Milky Way Mass Distribution’, di P. R. Kafle, S. Sharma, G. F. Lewis, e J. Bland-Hawthorn, pubblicato in Astrophysical Journal il 10 ottobre 2014.
Guarda il video ICRAR “Il caso delle galassie satelliti mancanti” (in inglese)