I getti astrofisici sono fenomeni tra i più spettacolari ed energetici che osserviamo nell’universo, imponenti emissioni di materia prodotti, ad esempio, da stelle in formazione o buchi neri. Ora un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Bruno Albertazzi, del centro LULI (Laboratoire pour l’Utilisation des Lasers Intenses) in Francia e a cui ha partecipato Rosaria Bonito, assegnista presso l’Università di Palermo e associata INAF, ha ricostruito in laboratorio, con dimensioni ed energie assai più limitate, questi getti astrofisici e, grazie ad accurate simulazioni, verificato che questi “mini getti” hanno proprietà del tutto simili a quelle dei getti che si producono in natura.
I getti astrofisici, flussi di materia veloci e collimati che si propagano fino a grandi distanze nel mezzo interstellare, vengono prodotti in sistemi in cui si ha accrescimento di massa, come ad esempio un buco nero che sta ingurgitando materia ad esso circostante, attratta dalla sua intensa forza gravitazionale. Per l’enorme energia liberata, i getti influenzano pesantemente l’ambiente circostante, a partire proprio dai loro dischi di accrescimento. Regolano poi l’evoluzione e le proprietà fisiche dei sistemi planetari in formazione e, a distanze maggiori, perturbano il mezzo interstellare e svolgono un ruolo fondamentale nel determinare l’efficienza con cui il gas interstellare collassa per formare nuove stelle, arrivando nei casi più estremi a determinare l’evoluzione della galassia che li ospita. Tuttavia, nonostante la loro importanza, i getti restano ancora tra i fenomeni più enigmatici della moderna astrofisica. Il team di ricercatori, per comprendere come il materiale espulso possa essere focalizzato in getti collimati, ha sviluppato una nuova tecnica sperimentale che riproduce getti in miniatura combinando potenti laser con intensi campi magnetici. Confinando magneticamente il plasma prodotto dal laser da una serie di fronti d’urto, i ricercatori hanno potuto generare in laboratorio un modello di un getto astrofisico su scale ridotte.
Le preziose informazioni ottenute studiando il comportamento e la dinamica di tali getti di laboratorio prodotti su scale del centimetro, sono state trasferite in una serie di simulazioni numeriche realizzate per ricostruire con l’utilizzo di supercomputer l’innesco e lo sviluppo di simili fenomeni. Simulazioni che hanno dimostrato che un ingrediente essenziale per generare getti collimati a partire da un vento che si espande sfericamente è la presenza di un campo magnetico su larga scala le cui caratteristiche sono consistenti con quelle osservate.
«Qui a Palermo, col gruppo di ricerca dell’INAF-Osservatorio Astronomico e del Dipartimento di Fisica e Chimica, abbiamo sviluppato un particolare metodo di indagine basato su modelli numerici e sull’analisi di osservazioni che permette di ricostruire l’emissione in raggi X dei getti prodotti in laboratorio a partire da sofisticate simulazioni numeriche e di confrontare i risultati con i dati ottenuti con i telescopi spaziali di ultima generazione» commenta Rosaria Bonito, coautrice dell’articolo che descrive lo studio, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science. « Nelle versioni in scala dei getti in laboratorio siamo riusciti a riprodurre l’emissione nei raggi X con caratteristiche in accordo con le osservazioni dei telescopi spaziali dei getti stellari più vicini a noi, come quello emesso da una stella in formazione denominato HH 154, un candidato ideale per lo studio dei getti stellari e della loro emissione X».
Risultati frutto della sinergia tra vari gruppi di ricerca e dell’approccio interdisciplinare all’indagine, che ha portato anche allo sviluppo di un dispositivo sperimentale unico nel suo genere, recentemente brevettato. E proprio l’esperienza raccolta nelle tecniche di confinamento del plasma potrebbe trovare applicazioni pratiche anche nel campo dell’ingegneria medica. In particolare, uno dei coautori dello studio sta indagando la possibilità di utilizzare un piccolissimo fascio di protoni guidato da campi magnetici intermittenti nel trattamento di patologie oncologiche.