Palpabile l’emozione nella voce prima, e l’imbarazzato silenzio del telecronista poi, al lancio del razzo Antares di Orbital Sciences, che avrebbe dovuto portare in orbita provviste per la Stazione Spaziale Internazionale e molto altro. Dopo essersi sollevato tra commenti entusiasti per 5 secondi, appoggiato alla sua lingua di fuoco, il razzo, alto come una casa di 14 piani, è sembrato esitare e quasi fermarsi. Inevitabile l’intervento del controllore del poligono di Wallops Island: dito sul bottone dell’autodistruzione e spettacolare botto. Nell’audio, un unico, gelido ordine: “Restate ai vostri posti”.
Cosa sia successo davvero non lo sappiamo ancora, ma il colpevole finora additato sembra grottesco. La grande Orbital Sciences, che dalla NASA ha avuto un contratto di quasi due miliardi di dollari per lanci di rifornimento alla SSI, sembra aver fatto una strana scelta per il motore del primo stadio di Antares. Ha utilizzato un vecchio motore russo (sovietico), dei primi anni ’60, avanzo del fallito programma lunare concorrente di Apollo. Certo, era un ottimo motore, all’epoca, anche se il gigantesco razzo lunare N1 sovietico era poi esploso a terra, e certo sarà costato poco, oggi. Ma per i suoi lanciatori pesanti la NASA, lei, utilizza motori dello Shuttle o magari del vecchio Saturno V, anzianotti ma comunque più controllabili.
Ironia della sorte, nelle stesse ore del disastro di Wallops, da Baikonur partiva regolarmente il modulo russo Progress (sovietico anche lui, anni 60 anche lui) per una sua regolare missione di rifornimento alla ISS. Niente panico per gli astronauti, quindi: cibo, acqua, e magari una bottiglia nascosta di vodka… Contenti gli astronauti e contenti, per ragioni ben diverse anche quelli di Space X, l’acerrimo nemico di Orbital nella corsa ad accaparrarsi contratti NASA. Non hanno risparmiato pesanti commenti agli sfortunati colleghi, facendo loro notare che avevano usato un motore “abbandonato da mezzo secolo da qualche parte in Siberia…”. Chissà se è vero. Comunque, la NASA forse comincia ad avere dubbi sulla sua politica di dare contratti chiavi-in-mano a dei privati, soprattutto pensando ad un futuro di voli umani. Anche perché il Congresso comincia a fare domande imbarazzanti sulla affidabilità di razzi progettati risparmiando sui costi.
Un’altra domanda è: perché il poligono di Wallops Island? Glorioso, certo (da lì partì il primo satellite italiano San Marco nel 1964), ma un po’ fuori mano, isolato sulla costa della Virginia. Forse perché nel carico del razzo c’era anche un satellite super-segreto per la trasmissione di messaggi criptati, adesso finito in mille pezzi sulla spiaggia, subito chiusa al pubblico (peccato, offre fantastiche possibilità di pesca nell’oceano…). Forse per evitare che cercatori di souvenir trovino interessanti frammenti, buoni da vendere a Pechino o a Mosca.
Sono andati persi anche altri importanti carichi: un satellite sperimentale della compagnia Planetary Resources, che cerca di sviluppare nuove tecnologie, molto di moda, per lo sfruttamento minerario degli asteroidi. Peccato, ma ci riproveranno di certo, perché l’idea di trovare un asteroide tutto d’oro è irresistibile, ricorda il Klondike di Jack London e di Charlie Chaplin. Romantico, anche se oggi non è certo l’oro che si cerca sugli asteroidi.
E’ finito in mare, con i resti di Antares, anche uno strumento italiano, coordinato da Paolo Zamboni, del Centro per le malattie vascolari dell’Università di Ferrara. Era destinato a verificare l’ipotesi per cui una delle cause della sclerosi multipla potrebbe essere il restringimento dei vasi sanguigni di testa e collo. Perdere uno strumento su cui si è lavorato per anni è un brutto colpo, ma riprovarci è un dovere: auguri all’Università di Ferrara.