I telescopi moderni sono come macchine del tempo: ci permettono di osservare oggetti lontani fino a oltre dieci miliardi di anni luce e, così, osservare le prime galassie che hanno popolato l’Universo. Ma poiché l’universo è in espansione, effetto di cui risentono anche le onde elettromagnetiche che viaggiano al suo interno – luce inclusa -, più andiamo a studiare galassie antiche, più abbiamo bisogno di strumenti progettati appositamente per cercare la loro luce, che nel lungo cammino per arrivare fino a noi si è ‘arrossata’, ovvero ha visto aumentare la sua lunghezza d’onda: quello che gli astrofisici chiamano spostamento verso il rosso (redshift in inglese). La luce visibile partita da quelle remote galassie, oggi, anche volendo, non potremmo più ammirarla con i nostri occhi. La possiamo infatti captare nella banda del vicino infrarosso, dove in questi ultimi anni il telescopio spaziale Hubble (HST) ha raccolto importantissimi risultati scientifici, grazie all’uso degli strumenti installati nella “servicing mission” del 2009 condotta durante la missione STS-125 dello shuttle Atlantis.
Ma, anche così, HST non riesce ad osservare tutte le ‘sfumature’ dell’infrarosso. Per questo motivo un team internazionale di astronomi, guidati da Adriano Fontana dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, ha usato un nuovo strumento installato sul Very Large Telescope (VLT) dell’ESO per osservare le stesse zone del cielo osservate da HST ma nelle porzioni della banda della radiazione infrarossa in cui HST è cieco, in particolare ad una lunghezza d’onda particolare, intorno ai 2 micrometri (milionesimi di metro).Queste osservazioni sono state ottenute nel corso di una survey, ovvero di un lungo programma osservativo di quasi 300 ore di esposizione complessiva con lo strumento Hawk-I posto al telescopio VLT, ottenute nel corso di tre anni. Il nome scelto per questa survey è HUGS, un acronimo che sta per Hawk-I Uds Goods Survey. E non a caso, perche’ hugs in inglese significa “abbracci”. Un modo simpatico di indicare il fatto che questi dati vanno usati insieme a quelli di HST per studiare al meglio le prime galassie.
Il primo punto di forza di questa campagna osservativa sta nell’elevata qualità dei dati raccolti. Le immagini sono straordinariamente “profonde”, ovvero permettono di osservare oggetti che sono miliardi di volte più deboli delle stelle visibili a occhio nudo. Per dare un’idea, i dati di HUGS consentono di osservare galassie tanto deboli quasi quanto il chiarore di una lucciola visto dalla luna!
Anche il livello di dettaglio raggiunto è sbalorditivo. Il telescopio spaziale Hubble è famoso per la straordinaria nitidezza delle immagini, grazie al fatto che si trova fuori dall’atmosfera. Grazie alle ottiche molto perfezionate di Hawk-I@VLT e alle qualità osservative del sito di Paranal, sulle Ande, le immagini ottenute da HUGS sono perfettamente confrontabili con quelle di HST, come è possibile vedere dalla figura qui in basso.
I dettagli delle varie sorgenti sono davvero molto simili. La combinazione di profondità e qualità delle immagini è unica, mai raggiunta da altre osservazioni con telescopi precedenti. Le galassie più deboli che osserviamo nelle immagini di HUGS sono talmente lontane che la loro luce ci arriva da epoche remotissime, quando l’Universo era da poco uscito dalla nebbia primordiale che lo avvolgeva dopo il Big Bang. Confrontando il loro aspetto e luminosità nelle immagini HST e in quelle HUGS gli astronomi sono in grado di misurare meglio la loro distanza e le loro caratteristiche, come per esempio la quantità e il tipo di stelle da loro contenute.
Ma in alcuni casi il VLT batte addirittura Hubble: in una delle riprese messe a confronto emerge, solo in quella del Very Large Telescope, la presenza di un piccolo oggetto rosso (nel cerchietto bianco dell’immagine in basso), che non era stato identificato dall’analisi dei soli dati dello Space Telescope.
«Secondo le prime analisi, si tratta di un oggetto straordinariamente interessante» commenta Fontana. «Nonostante sia osservato quando l’Universo aveva un’età di soli 2 miliardi di anni, è già composto da un numero di stelle pari a quello della nostra Via Lattea, che ha 13 miliardi di anni. Inoltre, le stelle in essa contenuta sono quasi tutte “vecchie”, cioè formatesi in un’epoca ancora precedente a quella in cui lo stiamo osservando. Questo indica che le sue stelle si sono formate appena dopo il Big Bang in modo estremamente rapido. Nei dati di HUGS stiamo identificando diversi di questi oggetti, finora invisibili a Space Telescope. Come questi oggetti si siano formati rimane un mistero inspiegabile per le moderne teorie. Il valore di queste immagini è tale che abbiamo deciso di renderle subito disponibili a tutti i nostri colleghi nel mondo. Questo è il modo migliore per permettere di estrarre tutte le informazioni in esse contenute».
Per saperne di più:
- L’articolo The Hawk-I UDS and GOODS Survey (HUGS): Survey design and deep K-band number counts di A. Fontana et al., accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics
- La survey HUGS sul web