Ha toccato. Philae, il piccolo passerotto europeo, dopo oltre dieci anni trascorsi sotto la sua ala protettiva, ha detto per sempre addio a “mamma Rosetta” per lanciarsi là dove mai nessuno ha osato prima: sulla superficie d’una cometa. Una pazzia. Se la prima metà dell’esortazione del decennio, lo “stay hungry, stay foolish” di Steve Jobs, è stata abbondantemente assecondata complice il perdurare della crisi economica, con l’ardita impresa di oggi la nostra vecchia Europa mostra, finalmente, d’avere ancora quel tocco di follia senza il quale nessuna avventura può dirsi veramente tale.
Un tuffo d’una ventina di chilometri, quello in cui si è cimentato Philae, da un trampolino che di chilometri ne misura mezzo miliardo – questa la distanza che separa la sonda ESA dalla Terra. Un touch down da orologio svizzero: 17:02 ora italiana., quella prevista.
Sette interminabili ore trascorse col fiato sospeso, durante le quali Philae, oltre a veleggiare verso la meta, si è dato da fare come mai prima, inviando dati e immagini raccolti da alcuni dei suoi dieci strumenti di bordo: è spettato a CIVA l’onore di scattare la foto d’addio a Rosetta, mentre ROLIS ha tenuto l’obiettivo saldo verso il suolo, ROMAP analizzava l’interazione tra vento solare e plasma cometario, SESAME si occupa di misurare polvere e plasma, COSAC e Ptolemy sono intenti a raccogliere campioni “atmosferici” e CONSERT, capace d’emettere onde radio in grado di trapassare l’intera cometa, ha avuto il delicatissimo compito di tenere sott’occhio la velocità di discesa e di studiare la superficie della zona d’attracco.