E’ noto, nonostante i molti sforzi e passi avanti fatti, oggi siamo consapevoli di conoscere solo il 5% dell’universo, quello della materia a noi visibile. Tutto il resto è ancora avvolto nel mistero e si chiama materia oscura. Oscura perché invisibile alle strumentazioni oggi disponibili ai ricercatori, oscura perché ancora non è stata identificata né caratterizzata. Diversi sono gli esperimenti attualmente in corso e secondo recenti studi la famosa dark matter costituirebbe circa il 27% della massa totale dell’Universo. Tutto il resto è energia oscura, ciò che secondo gli esperti spiega l’espansione dell’Universo.
Di recente due fisici danesi hanno proposto una nuova tecnica per scovare la materia oscura: porre i rilevatori e i sensori in zone della Terra meno in profondità rispetto a quanto scelto finora e proponendo rilevazioni direzionali e periodiche. «Crediamo che la materia oscura sia tutta intorno a noi, anche qui sulla Terra», ha spiegato Chris Kouvaris, professore associato presso il Centro per la cosmologia e Fenomenologia della fisica delle particelle della University of Southern Denmark. Lui e il suo collega, Ian Shoemaker, ritengono si possa fare un passo in avanti nella soluzione di questo dilemma.
Da qualche anno i fisici di altri gruppi di ricerca provano a rilevare la materia oscura da siti posti a uno o più chilometri sotto la superficie terrestre (come l’esperimento LUX -Large Underground Xenon experiment– di cui abbiamo già parlato su Media INAF). L’idea è quella di aggirare il “rumore” cosmico (cioè la radiazione nella frequenza dei raggi X che disturba le rilevazioni astronomiche) e le radiazioni prodotte dalle attività sulla Terra che potenzialmente coprono il segnale proveniente dalla materia oscura. Questo approccio è valido solo quando i dispositivi posti nel sottosuolo, però, riescono a registrare il passaggio delle Weakly Interacting Massive Particles (WIMP), particelle massicce debolmente interagenti con gli atomi della materia ordinaria (di cui la Terra stessa e tutti noi siamo composti). Anche se interagiscono solo in maniera parziale, le particelle che costituiscono la materia oscura possono perdere comunque energia durante il viaggio sotto terra.
Nel loro studio pubblicato sull’American Physical Society Journal, i due ricercatori affermano, infatti, che a seconda delle proprietà delle particelle che costituiscono materia oscura, i rivelatori posti in profondità possono risultare “ciechi” e non rilevare il segnale delle particelle. Kouvaris ha affermato che «in questi casi avrebbe più senso cercare questi segnali dalla superficie della Terra o comunque in luoghi molto meno profondi», con rivelatori direzionali a bassa soglia posti, per esempio, nell’emisfero sud del pianeta. Secondo i ricercatori i punti migliori per l’osservazione sono luoghi dell’emisfero sud con latitudine di circa 40 gradi, come l’Argentina, il Cile e Nuova Zelanda. Le particelle di materia oscura arriverebbero ai rivelatori da varie direzioni, per via della rotazione terrestre, e quindi il flusso delle particelle può variare: i ricercatori spiegano che il segnale andrebbe dal suo picco massimo al suo minimo in 12 ore per tornare al massimo dopo altre 12 ore. La rilevazione sarebbe periodica, come accade anche in diversi esperimenti attualmente in corso, ma il periodo sarebbe giornaliero e non stagionale o mensile. Il cambiamento di strategia porta con sé pro e contro, perché è vero che un diverso posizionamento garantirebbe una minore perdita di energia per le particelle di materia oscura, ma ciò porterebbe anche un grande aumento del rumore di fondo. Proprio per questo Kouvaris e Shoemaker hanno proposto alla comunità scientifica di cercare un segnale che vari periodicamente durante il giorno, invece di provare a rilevare la singola collisione di una particella di materia oscura con il rivelatore target.
«Quella dei due fisici danesi è un’idea su cui i teorici stanno già lavorando da alcuni anni», ha detto a Media INAF Antonio Masiero, vicepresidente dell’Istituto Nazionale Fisica Nucleare (INFN). «Questa materia oscura interagisce con la materia ordinaria in maniera più o meno forte e viene rallentata nel suo percorso quando attraversa la roccia sopra al rilevatore – ha aggiunto il fisico teorico e delle astroparticelle -. In questo caso o si ferma del tutto o viene rallentata e quindi arriva con poca energia al rilevatore target. La “botta” che le WIMP danno al nucleo è molto esigua e se il nucleo bersaglio riceve una “botta” leggera non vediamo nulla».
Masiero ha spiegato che «questa possibilità era stata messa in evidenza anni fa. Il rimedio è ovvio, cioè quello di posizionare i rilevatori più in alto. Addirittura, in passato si era pensato anche ai palloni atmosferici per fare interagire le particelle di materia oscura con la materia ordinaria presente nella nostra atmosfera». Ma cosa c’è di nuovo nello studio danese? Il vicepresidente dell’INFN ha spiegato che «il lavoro mette in rilievo che questa interazione tra materia oscura e materia ordinaria può avvenire tramite lo scambio di nuove particelle, generando una nuova forza che verrebbe rilevata dagli strumenti. La vera sfida sarebbe capire come sfruttare questa modulazione del segnale di materia oscura in superficie. Per isolare il segnale dal rumore di fondo (esorbitante in superficie) si può sfruttare il periodo di 12 ore di cui parlano i ricercatori: la radiazione di fondo è sempre costante e quindi si vanno a studiare le variazioni periodiche». Kouvaris e Shoemaker fanno notare, spiega Masiero, che esiste anche la «possibilità di realizzare dei rivelatori direzionali, che siano sensibili quindi alla direzione da cui arriva il segnale. Ci si sta lavorando in vari posti al mondo, ma ancora non sono stati ultimati. Questi rilevatori sarebbero molto utili anche sotto la superficie terrestre perché, ovviamente, non risentirebbero della radiazione di fondo».
Per adesso, però, ci sono esperimenti come LUX (che si trova nell’area di ricerca Sanford Underground Research Facility nel Sud Dakota -Stati Uniti), Xenon100 e DAMA/LIBRA (entrambi nei laboratori del Gran Sasso – L’Aquila) che hanno già portato a casa risultati importanti per la ricerca in questo campo. «L’idea è di guardare a modulazioni, come si fa con l’esperimento DAMA: c’è una modulazione del segnale di tipo annuale e viene studiata da ormai 15 anni. I ricercatori osservano un tipo di modulazione stagionale, che cambia in estate e in inverno (i picchi sono il 2 giugno e il 2 dicembre)», ha spiegato Masiero. Come funziona l’esperimento? «I ricercatori includono come variabile la velocità della Terra che d’estate viene sommata alla velocità del Sistema solare e che d’inverno, invece, viene sottratta: i venti delle particelle WIMP sono più forti d’estate e quindi il segnale varia. E’ l’unico esperimento al mondo che al momento afferma che esiste effettivamente questa modulazione del segnale, e l’hanno vista con certezza».
Per saperne di più:
Leggi QUI lo studio: “Daily modulation as a smoking gun of dark matter with significant stopping rate”, di Chris Kouvaris e Ian M. Shoemaker